versione accessibile
Politica
24/07/2011 - GOVERNO, I NUOVI SCENARI

L'investitura di Monti
per il dopo Berlusconi

L’establishment lo sonda. Prodi: caro Mario, stavolta tocca a te. L’ex commissario Ue: disponibile solo a una “chiamata generale”

FABIO MARTINI

ROMA
Un incontro di cui nulla si è saputo, riservato come era a pochi e selezionatissimi invitati. Al Ca’ de Sass, storico palazzo della finanza milanese, alle sette della sera di lunedì scorso erano convenuti ad ascoltare Romano Prodi personaggi come Giovanni Bazoli, Carlo De Benedetti, Corrado Passera, Mario Monti, Angelo Caloia.

Si era appena chiusa un’altra giornata segnata da grande inquietudine dei mercati e poco prima che il convegno avesse inizio in un angolo si erano appartati Prodi e Monti. Il primo dice al secondo: «Caro Mario, secondo me Berlusconi non se ne va neppure se lo spingono, ma certo se le cose volgessero al peggio, credo che per te sarebbe difficile tirarti indietro». Monti resta colpito. Conosce bene Prodi, sa che il Professore non è tipo da sprecare parole, soprattutto è uno che non è mai uscito dai giri che contano.

Ma nelle ultime due settimane al presidente della Bocconi è capitato già altre volte di sentirsi fare discorsi come questo, nel corso di incontri riservati, da parte di interlocutori qualificati e di diverso orientamento politico. Tra gli altri, qualche giorno fa Monti ha ricevuto nel suo studio milanese anche Enrico Letta, sherpa di frontiera, visto che oltre a essere vicesegretario del Pd è anche uno dei politici più stimati dal Capo dello Stato.

Davanti ai sondaggi dei suoi interlocutori politici, Monti preferisce ascoltare, anche se tutti quelli che hanno parlato con lui hanno ricavato la stessa, inequivocabile impressione: il professore è refrattario a prendere iniziative in prima persona, ma se la situazione dovesse precipitare e ci fosse una «chiamata generale» il presidente della Bocconi sarebbe disponibile e «interessato» a guidare un esecutivo di unità nazionale. Certo, il governo Berlusconi è in seria difficoltà, ma non è in crisi.

E in ogni caso, se mai l’esecutivo dovesse cadere non è affatto detto che la soluzione più naturale finirebbe per essere quella di un esecutivo d’emergenza. Eppure, per effetto della crisi endogena del governo e di quella esogena dei mercati, da qualche settimana attorno a Monti si è creato un convergere di interessi e di simpatie da parte dei «poteri forti», che potrebbero rendere più concreta del solito l’epifania tante volte annunciata del professore della Bocconi.

Sessantotto anni, lombardo di Varese (la città culla della Lega), una lunga carriera universitaria e da rettore, Monti è di quegli accademici che a un certo punto della vita incrociano la politica al massimo livello. Indicato nel 1994 come commissario europeo dal primo governo Berlusconi, nel 1999 Monti viene confermato dal governo D’Alema e nella Commissione Prodi assume il delicato portafoglio della Concorrenza, aprendo un procedimento che ha fatto epoca: quello contro la Microsoft.

E da quando, nel 2004, Berlusconi non lo ha confermato nella Commissione Barroso, Monti ha ripreso la sua attività di editorialista al Corriere della Sera, riservando alla situazione economica italiana e internazionale analisi senza sconti né per la destra né per la sinistra, anche se segnate da quello stile british che rappresenta la sua cifra. E della stagione di Bruxelles a Monti sono restati in dote una forte immagine internazionale, contatti di primo livello ma anche una evidente ambizione politica.

Tanto è vero che a fine gennaio, quando sembrava che la crisi del governo potesse portare a elezioni anticipate, Massimo D’Alema (d’intesa con Gianfranco Fini) era riuscito a comporre un vasto cartello elettorale, destinato a essere guidato da un candidato premier chiamato Mario Monti, che anche in quella circostanza non aveva detto no. Ma ora le chiavi della legislatura sono nelle mani della Lega.

Se proprio il Carroccio decidesse di «scaricare» Berlusconi, non sarebbe più semplice appoggiare un altro governo di centrodestra piuttosto che un esecutivo di larghe intese? Molto interessante quel che nelle settimane scorse, prima che la situazione precipitasse, Roberto Maroni aveva confidato ai più fidati amici di Varese: «Purtroppo il governo non ce la fa, il Paese è stremato, avremmo bisogno di un periodo di riforme dolorose, senza guardare in faccia a nessuno», «servirebbe una stagione di commissariamento», al termine della quale «la politica possa riprendere la sua fisiologica dialettica, grazie a una nuova generazione, una nuova classe dirigente».