Accademia di Belle Arti di Carrara
Corso di Arti Multimediali
Tesi di laurea
in Teoria e Metodo dei Mass Media
IZQUIERDA DE COPIA
NUOVI SENSI DEL POSSESSO
NELL’ERA DIGITALE
CANDIDATA RELATORE
Annalisa Schiavone Prof. Tommaso Tozzi
Anno Accademico 2006-2007
“
Se tu hai una mela, e io ho una mela, e ci scambiamo le mele,
avremo sempre una mela ciascuno.
Ma se tu hai un’idea e io ho un’idea, e ci scambiamo le idee,
allora avremo entrambi due idee.
â€
George Bernard Shaw (1856-1950),
premio Nobel alla Letteratura nel 1925.
i z q u i e r d a d e c o p i a
i n d i c e
1.0 [INTRODUZIONE]
1.1 Nè mio nè tuo: nuovi sensi del possesso
1.2 Un po’ di storia non fa mai male
2.0 [COPYLEFT:SPIEGAZIONE E USO]
2.1 Introduzione al concetto di copyleft
2.2 Licenze OpenContent (per prodotti non software)
2.3 L’uso del copyleft nel web
2.4 L’uso del copyleft nell’editoria di testi scritti
2.4.1 L’editoria scientiï¬ca e didattica
2.4.2 La scrittura collettiva e la scrittura collettiva online
3.0 [LIBERTÃ DI CREARE, LIBERTÃ DI DISTRIBUIRE]
404 not found [APPENDICE]
Conclusioni..?
Lessico
Note
Bibliograï¬a e webliograï¬a di riferimento
Special thanks
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introduzione
1.0
“
Le streghe hanno smesso di esistere quando abbiamo smesso di bruciarle
â€
(Voltaire)
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[La mappa del villaggio di Salem così come appariva nel 1692, all’inizio dei processi alle streghe. Tratto da
Salem Witchcraft
di
Charles Upham. Immagine sotto pubblico dominio]
Da sempre, nella storia dell’uomo, chi detiene l’informazione detiene il potere.
Gli antichi sacerdoti egizi non rivelavano la propria scienza per mantenere il proprio stato
di divinità e poter così “predire†ogni anno le piene del Nilo.
Il clero medioevale approï¬ttò della propria cultura e dell’ignoranza delle masse per mettere
da parte grandi ricchezze e assicurare il proprio potere su intere popolazioni.
Nel XVII secolo, in Francia, viene proibita la stampa per ovviare ad un problema prima ine-
sistente: quello della diffusione delle idee; in Inghilterra, nel 1662, di fronte all’impossibilitÃ
di mettere la stampa fuorilegge, si crea un sistema di monopolio per l’uso delle macchine
(la Stationers’ Company).
Sempre in Inghilterra, nel 1710 viene redatto l’
Anne Statute
, la prima legge in materia di
copyright, che però protegge l’editore e non l’autore.
I dittatori, i re, i governi di ogni angolo del mondo e di ogni epoca storica hanno sempre sa-
puto che quello della diffusione di informazione è un tema scottante: non bisogna lasciare
che milioni di persone vengano a contatto con la cultura, con la conoscenza, con il sapere.
Non bisogna dar loro modo di diventare forti e consapevoli della propria potenza.
Suona male e a qualcuno potrà sembrare una specie di bestemmia, ma bisogna rendersi
conto che non sempre la legge è nel giusto: spesso dimentichiamo che una cosa è la leg-
ge, e un’altra la giustizia.
Nel 400 a.C., quando la pedoï¬lia era una pratica moralmente accettata, Plenide disse al
Senato: “Dovremmo fare più del giusto e meno del dovutoâ€. Fu accoltellato seduta stante
dai senatori stessi.
Plenide, a suo tempo, stava solo cercando di guardare le cose dal punto di vista pratico ed
etico, e non solo dal punto di vista legale.
nè
mio
nè
tuo
:
nuovi sensi del
p o s s e s s o
1.1
“
è pericoloso aver ragione quando le autorità costituite hanno torto
â€
(Voltaire)
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[
La Giustizia e la Pace si baciano
, Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia. Foto di Giovanni Dall’Orto, 13-4-2002]
un po’ di
storia
1.2
non fa mai male
[Il 12 agosto 1981, IBM immette
sul mercato il primo di una serie
di personal computer che diven-
terà molto popolare: l’IBM 5150,
meglio conosciuto come PC IBM.
Costi elevati, prestazioni basse.
Immagine rilasciata sotto
licenza GDFL]
Il nostro mondo e il nostro stile di vita sono cambiati, ed è giusto che ora cambino anche
le leggi.
Secondo il ï¬losofo spagnolo Xavier Zubiri, ogni volta che diciamo “mio ï¬glio†ovviamente
non intendiamo quel “mio†nel senso stretto del possesso, perchè un ï¬glio non si può ven-
dere, comprare, cambiare o gestire come un qualsiasi altro oggetto che realmente posse-
diamo (come una casa o un’auto). Sappiamo bene che “mio†ï¬glio è in realtà solo “di sè
stessoâ€, nonostante egli faccia parte di un tutto ben più vasto (che può essere la famiglia,
la comunità , la società ). Anche se possiamo dire “l’ho fatto ioâ€. [vedi nota 1]
Forse dovremmo cominciare a fare lo stesso con le opere frutto dell’ingegno umano, in
quanto espressioni di una creazione: una volta create non dovrebbero appartenere più a
nessuno, ma semplicemente dare beneï¬cio a tutti.
E’ innegabile che ormai il cosiddetto “futuro†è già qui, con noi, nelle nostre case, nella vita
di tutti i giorni. Non possiamo ï¬ngere che non esista, così come non possiamo continuare
a pensare utilizzando sempre gli stessi vecchi schemi mentali, perchè le regole della no-
stra società sono profondamente cambiate in questi ultimi decenni.
Il sistema aperto, rizomatico e imprevedibile della rete e del libero scambio di informazioni,
i nuovi modi di creare cooperando online in comunità che non prevedono ritorni in denaro,
l’economia del dono e le produzioni dal basso mettono in crisi gli economisti classici e le
loro ormai obsolete teorie.
Casalinghe cinquantenni e studenti di dodici anni hanno oggi la possibilità , utilizzando
semplicemente un computer connesso ad Internet, di crearsi un proprio spazio nel grande
oceano di flussi informatici e informativi del World Wide Web.
Le nuove tecnologie hanno permesso a tutti di diventare creatori invece di rimanere sem-
plici spettatori passivi di quello che un tempo poteva essere creato da pochi e importanti
“artistiâ€.
Di fronte a tutto questo, personaggi che assicurano di difendere i nostri diritti in realtÃ
cercano di imbrigliare la diffusione della cultura all’interno di maglie giuridiche assurde e
sempre più strette, mentre coloro i quali vengono oggi deï¬niti “pirati†hanno solo capito
che Internet e le nuove tecnologie sono il più grande strumento mai posseduto dall’uma-
nità per una più libera diffusione della cultura.
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In questo clima qualcuno comincia non solo a pensarla diversamente, ma anche a far sì
che le cose cambino.
Richard Stallman, laureato in ï¬sica, lavora dal 1971 al Laboratorio di Intelligenza Artiï¬ciale
(AI Lab) del MIT. Ha l’abitudine di distribuire gratuitamente i programmi che crea incorag-
giando i colleghi a migliorarli.
Di fronte alla forte commercializzazione di software e hardware in atto, e sempre sull’onda
di quell’etica hacker che da sempre ha caratterizzato il suo lavoro e la sua vita, Stallman
decide di abbandonare il MIT per dedicarsi a progetti che considera più vicini alla propria
ï¬losoï¬a.
Primo fra tutti, il progetto GNU (acronimo ricorsivo che sta per Gnu’s Not Unix: “
GNU non
è Unix
â€), ovvero un nuovo sistema operativo non vincolato da copyright, risultato della
collaborazione tra migliaia di persone coordinate dalla Free Software Foundation (la fon-
dazione senza ï¬ni di lucro creata appositamente da Stallman per la gestione del progetto
e la raccolta di fondi).
Nonostante gli sforzi, il progetto GNU inizia ad ingranare solamente con l’inizio della dif-
fusione massiccia di Internet tra la ï¬ne degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, e diven-
terà lo strumento principale per la ricostituzione della comunità hacker che si era quasi
completamente dissolta all’epoca in cui molti dei suoi membri avevano lasciato l’ambiente
universitario ed erano stati “assoldati†dall’industria del software proprietario.
Un sistema operativo è qualcosa di estremamente complesso da creare, perchè è anche
l’nsieme di numerosi programmi come editor di testo, assemblatori, debugger, interpreti
di linguaggi, software per la posta eccetera. Stallman, in questo immenso lavoro, si serve
di programmi liberi già esistenti o di parti di essi, sia per scrivere GNU sia per accorporarli
all’intero sistema: alla ï¬ne, GNU è formato anche da materiale non GNU, sviluppato da
altre comunità ma utilizzabile e adatto allo scopo ï¬nale perchè libero.
Stallman crea anche un particolare tipo di licenze alternativo al copyright e chiamato ap-
punto copyleft, con il quale il codice sorgente del software si mantiene aperto per sempre:
infatti la licenza copyleft costringeva chi apportava modiï¬che all’originale a rilasciare il
nuovo prodotto sotto la stessa licenza. La parola “
copyleft
†viene vista la prima volta da
Stallman sulla busta di una lettera indirizzatagli da Don Hopkins nel 1984 o 1985; la frase
intera diceva: “
Copyleft: tutti i diritti rovesciat
i†(“
Copyleft: all rights reversed
â€, per canzona-
re la classica dicitura che recita invece “
Copyright: all rights reserved
â€, ovvero “
Copyright:
tutti i diritti riservati
â€).
Negli anni ‘50 vengono creati i primi supercalcolatori grandi come intere stanze, a valvole
e poi a transistor, che rimangono all’interno dell’ambiente militare e della ricerca universi-
taria.
Nel 1969 nasce Unix, il primo sistema operativo scritto in C e non in linguaggio binario.
Unix ha la grande peculiarità di essere versatile e non strettamente legato al computer:
in altre parole, si tratta di un programma compatibile con un certo tipo di macchina e non
solo con un singolo calcolatore. Ma si tratta di un software proprietario. Intanto la comunitÃ
hacker, già operativa da tempo all’interno delle università americane, esce allo scoperto.
Nello stesso anno, attraverso ARPAnet, vengono collegati per via telematica i quattro cen-
tri di ricerca informatica americani che si stavano sviluppando all’interno delle grandi un-
versità .
Durante gli anni ‘70 nasce l’impegno per cercare di creare computer più piccoli e maneg-
gevoli, oltre che economicamente accessibili ad una più larga schiera di utenti.
Microsoft realizza, stimolata da IBM, l’MS-DOS, il sistema operativo ancora oggi più diffu-
so al mondo.
Tra anni Ottanta e Novanta si dif-
fondono nelle case i Personal Com-
puter e, subito dopo, Internet.
Inizia così la rivoluzione informati-
ca e telematica, ovvero quella che
probabilmente rimarrà nella storia
dell’umanità come una delle più
importanti rivoluzioni culturali per i
cambiamenti radicali che apporterÃ
al nostro modo di vivere, di pensa-
re e di relazionarci con il resto del
mondo.
Intanto, hardware e software sono
già all’interno di un circuito com-
merciale decisamente chiuso: po-
che, potenti case distribuiscono i
loro prodotti in tutto il mondo.
[Apple II, da molti considerato il primo personal
computer prodotto su scala industriale (1977).
Immagine rilasciata sotto licenza GDFL]
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copyleft
2.0
[Le prime nove righe del codice sorgente di Tiny BASIC per il processore di un Intel 8080 scritto da Li-Chen Wang, professore
all’università di Palo Alto. Il codice faceva parte di un grande progetto open source, e quando fu modiï¬cato la scritta “all wrongs
reserved†rimase. Questa sembra essere la prima traccia di licenza copyleft. Immagine sotto pubblico dominio, 1976]
La svolta nel progetto avviene quando, nel 1991, con un kit di software della Free Software
Foundation, Linus Torvalds crea Linux, il kernel per GNU, senza il quale il sistema opera-
tivo GNU avrebbe dovuto appoggiarsi ad una piattaforma di software proprietario di tipo
UNIX, rendendo così vani gli sforzi di indipendenza del progetto.
Il prodotto ï¬nale (ovvero il sistema operativo libero GNU che utilizza il kernel libero Linux)
ha come nome GNU/Linux.
[Linus Torvalds.
Immagine rilasciata sotto licenza GDFL]
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Il termine
copyleft
viene dalla parola inglese “
copyright
†(“
diritto alla copia
â€): “
right
â€, che
signiï¬ ca anche “
destra
â€, “
giusto
â€, viene sostituito da “
left
â€, in un gioco di parole che si fa
intraducibile. Il titolo di questa tesi deriva dalla traduzione forzata di questo gioco di parole
dall’inglese al castellano: in Spagna, infatti, “
copyleft
†diventa “
izquierda de copia
†(in un
paese abituato a tradurre ogni singola parola inglese,
left
è stato naturalmente sostuito con
izquierda
,
sinistra
).
La prima traccia di copyleft della storia si può trovare nelle prime nove righe del codice
sorgente di Tiny BASIC per il processore di un Intel 8080, scritto nel 1976 da Li-Chen
Wang, professore all’università di Palo Alto. La scritta diceva: “
Copyleft, all wrongs reser-
ved
â€. Il codice faceva parte di un grande progetto open source, e quando fu modiï¬ cato la
scritta “
all wrongs reserved
†rimase.
Le discussioni sulle tematiche del copyleft sono nate all’interno della comunità informatica,
ma da molto tempo, ormai, questo modo di gestire il diritto d’autore ha pervaso ogni campo
artistico, scientiï¬ co e -in generale- creativo, diventando addirittura la bandiera di un vastis-
simo movimento socio-culturale che ha investito tutto il mondo.
E’ un concetto che prende forma nella nostra società multimediale, e non prima, perchè la
diffusione a livello massiccio delle nuove tecnologie ha permesso una conseguente distri-
buzione di cultura un tempo impensabile: traslate a nuovi tipi di supporti di una consistenza
ï¬ sica minima, le opere dell’ingegno umano possono viaggiare sui continenti attravero le
reti, ad un costo prossimo allo zero e ad una velocità impressionante.
La digitalizzazione è stata una delle più grandi rivoluzioni nel campo della produzione intel-
lettuale umana, e doveva inevitabilmente portare a questionarsi sul diritto d’autore.
E’ diventato perciò necessario ripensare alcuni concetti, perchè quelli esistenti non erano
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al concetto di
2.1
copyleft
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[diversi simboli connessi a copyright e copyleft utilizzati su Wikipedia]
Con una licenza di tipo copyright, i soggetti individuabili sono solitamente autore, editore
e produttore.
Con una di tipo copyleft, abbiamo da un lato il licenziante-autore, dall’altro il licenziato-frui-
tore, il quale può trasformarsi a sua volta in un soggetto attivo in questo processo modiï¬-
cando, copiando, ridistribuendo l’opera.
Il copyright ha una vita di due secoli ed è stato largamente studiato e discusso.
Gli studi sulle nuove licenze, invece, sono ancora in fase embrionale, e molti aspetti con-
troversi potranno essere studiati solo con il passare del tempo, con l’aggiornamento delle
licenze e comunque sempre sulla base dei singoli casi.
Le associazioni che rilasciano i testi di tali licenze non sono e non possono essere soggetti
attivi nei rapporti giuridici che attraverso di esse si vengono a stipulare. Ovvero, le licenze
vengono fornite così come sono, e hanno validità ï¬no al momento in cui qualcuno non ne
dimostra l’illegittimità giuridica in un determinato tempo e luogo, e applicato ad un singolo
caso concreto. Questo signiï¬ca che la stessa licenza può non avere legittimità in un caso
ma essere pienamente legale ed effettiva in un altro.
Un problema serio sorgerebbe nel momento in cui dette associazioni cominciassero a
rilasciare licenze in versioni aggiornate, che però soppianterebbero le precedenti. In teo-
ria non sarebbe legale, perchè l’autore che ha scelto di applicare alla propria opera una
licenza copyleft non poteva sapere, in quel momento, che in futuro le clausole –e quindi il
destino della sua opera- sarebbero cambiati.
Un problema rilevante delle licenze copyleft –nato tra l’altro dalla loro peculiarità principale,
ovvero la libertà che ognuno possiede di scrivere la propria licenza, a patto che sia giuridi-
camente valida- è il loro eccessivo proliferare e la conseguente difï¬coltà di monitoraggio a
livello globale di un numero spropositato di licenze.
Questo nodo è anche un punto di scontro tra Open Source Initiative e Free Software Foun-
dation.
La prima ha semplicemente stilato dieci regole che deï¬niscono un software come open
source a tutti gli effetti (la Open Source Deï¬nition).
La seconda vorrebbe imporre un unico tipo di licenza, la GNU GPL, e tollerarne le derivan-
ti, a patto che abbiano lo stesso senso giuridico.
Comunque, c’è da notare come la maggior parte delle diatribe risulti, ad un occhio critico e
soprattutto non di parte, puramente teorica, per non dire futile e puerile, perchè i risultati ai
quali si vuole giungere spesso sono gli stessi, per entrambe le parti... quindi smettiamola
di litigare.
più sufï¬cienti a gestire questo nuovo tipo di diffusione di opere dell’ingegno, e non solo.
Infatti, con le reti si diffondono anche nuovi modi di creare, basati sulla cooperazione at-
traverso Internet di milioni di utenti. Il risultato di tali “collaborazioni planetarie†è un tipo
di opera che non può essere distribuita con le vecchie norme sul diritto d’autore, e questo
accade sempre più spesso: creatore e pubblico si fondono, l’autore unico scompare per
lasciare spazio alla società -autore, lo spettatore diventa co-autore e diffusore...
E’ un panorama artistico molto allettante, che dà continuamente vita a nuovi spunti creativi,
un tempo impensabili, ma non può rimanere in un campo “abusivo†della legiferazione sul
diritto d’autore.
Le licenze di tipo copyleft sono nate in territorio americano, ma si sviluppano e vivono in
Internet, il non-luogo per eccellenza che non conosce e non vuole conï¬ni, nè ï¬sici nè po-
litici nè giuridici.
A differenza del brevetto, l’acquisizione del diritto d’autore è automatica con la creazione
dell’opera e non comporta l’iscrizione dell’autore alla SIAE (vedi
Lessico
alla voce
SIAE
) o
altri organi simili. Una certiï¬cazione è utile solo al ï¬ne di proteggere la paternità dell’opera
in eventuali controversie giuridiche.
Esistono vari sistemi per provare l’esistenza di un’opera da una certa data in poi:
• pubblicazione in una rivista
• deposizione dell’opera in un ufï¬cio pubblico il cui compito è protocollare certi tipi di docu-
menti (questo avviene con le tesi di laurea nelle università )
• registrazione presso gli ufï¬ci della SIAE o enti simili
• registrazione presso un ufï¬cio notarile
• invio dell’opera a sè stessi tramite raccomandata (da non aprire se non in casi di estrema
urgenza, come nei ï¬lm di spionaggio!).
Per la legge italiana (633/1941), il diritto d’autore serve a proteggere da plagio o furto le
opere dell’ingegno umano come scritti, musica, arte visiva eccetera. Mentre il diritto morale
(cioè il diritto di paternità dell’opera) è inalienabile e irrinunciabile e spetta solo all’autore,
i diritti di utilizzazione economica si possono vendere (o regalare) a terzi. In questo caso,
l’opera cade sotto pubblico dominio solo 70 anni dopo la morte dell’autore. Esistono vari
casi in cui si può liberamente utilizzare parte dell’opera (quello che nelle leggi americane
è il cosiddetto
fair use
), ma quando la SIAE avanzò la pretesa di un compenso economico
anche per il
fair use
a scopo didattico, in Italia si aprì il dibattito che portò alla concessione
della pubblicazione, in Internet, di materiale “a bassa risoluzione†(!) a titolo gratuito e a
scopo didattico.
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Nel Medioevo, i
commons
erano appezzamenti di terra che il governo inglese dava alla
comunità perchè venissero liberamente utilizzati per il pascolo del bestiame e la coltivazio-
ne. Nel XVIII secolo la politica delle
enclosures
(
recinzioni
) diede inizio a quel processo di
privatizzazione del bene pubblico che non è mai ï¬nito.
Oggi la parola
commons
designa il bene comune, pubblico, e solitamente comprende le
risorse naturali e quelle culturali. [vedi nota 3]
Il progetto Creative Commons nasce nel 2001 in California per tutelare attraverso il copy-
left le opere dell’ingegno diverse dai software.
iCommons sta per International Commons, ed è il progetto che coordina l’internaziona-
lizzazione delle Creative Commons. Si occupa della traduzione delle licenze, dell’imple-
mento di soluzioni tecnologiche che sfruttino le licenze Creative Commons, e anche della
creazione di eventi, forum di discussione e materiale informativo con lo scopo di divulgarne
la ï¬losoï¬a.
Creative Commons ha anche il merito di aver reso più accessibili -attraverso la diffusione
delle relative deeds (per la cui deï¬nizione vedere il capitolo
Lessico
)- la GNU GPL e la
GNU LGPL, le capostipiti delle licenze freesoftware (vedere il capitolo
FreeSoftware
).
Attualmente esistono sei licenze di tipo Creative Commons, con altrettanti gradi di restri-
zioni per l’utente:
• la Attribution;
• la Attribution-ShareAlike;
• la Attribution-NoDerivativeWorks;
• la Attribution-NonCommercial;
• la Attribution-NonCommercial-ShareAlike;
• la Attribution-NonCommercial-NoDerivativeWorks.
licenze
o p e n
content
2.2
per prodotti non software
[Creative Commons Swag Contest 2007. Di Tyler Stefanich. Foto rilasciata sotto una licenza Creative Commons Attribution 3.0]
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trici o discograï¬che e commercializzare l’opera come meglio crede, in maniera da poter
realizzare l’ingresso economico alla base del diritto d’autore e contemporaneamente dare
maggiore visibilità all’opera.
Il ï¬le sharing (ovvero la condivisione, attraverso le reti peer-to-peer, di ï¬le: per un approf-
fondimento vedere il capitolo
Lessico
alla voce
Peer To Peer
) è consentito ma solo a con-
dizione che sia di carattere gratuito.
La clausola ShareAlike
“
Share alike
†signiï¬ca “
condividi allo stesso modo
â€, concetto che sta alla base dell’effetto
di persistenza. Chi modiï¬ca l’opera originale deve rilasciare l’opera derivata sotto la stessa
licenza.
Ovviamente, questa clausola non è compatibile con la NoDerivs.
PublicDomain
Con Creative Commons non è necessario aspettare i 70 anni dalla morte dell’autore per-
chè un’opera cada sotto il pubblico dominio. E’ sufï¬ciente, per l’autore stesso, scegliere
appunto una licenza PublicDomain (che è assolutamente “no rights reservedâ€, senza alcun
tipo di diritto contemplato) per avere l’effetto immediato del pubblico dominio.
VerbatimCopy
“
La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono permesse con
qualsiasi mezzo, a condizione che questa nota sia riprodotta
â€.
Questo disclaimer non è una vera e propria licenza, però nella pratica funziona come una
licenza di tipo NoDerivs.
Se non viene speciï¬cato nient’altro, sono permessi anche usi commerciali dell’opera, che
però non può assolutamente essere modiï¬cata.
E’ il primo modo che è stato utilizzato dai pionieri del free software per la divulgazione dei
loro testi di informazione sul tema.
Licenza GNU Free Documentation
Nel 2000 la Free Software Foundation ha deciso di creare una licenza apposita per la ma-
nualistica sul Free Software, per due motivi.
Per prima cosa, non era ovviamente pensabile porre un copyright restrittivo sui testi docu-
mentativi e esplicativi di un software di tipo libero. D’altro canto la GNU, licenza pensata
per i software, non era applicabile alla manualistica.
Venne così creata la GNU Free Documentation License (FDL), che è oggi la licenza per
Essendo queste licenze scritte in un linguaggio giuridico ovviamente incomprensibile alla
maggioranza dei comuni mortali che non hanno competenze a riguardo, in circolazione
esistono anche le Commons Deeds, ovvero dei riassunti schematici e chiari, comprensi-
bili ad ogni utente, realizzati per far sì che le licenze possano circolare più liberamente,
senza che qualcuno si lasci scoraggiare dalla lettura spesso inutile (perchè non porta a
nessuna comprensione reale) dei veri contratti originali. In pratica, quando un utente, ad
esempio, applica una licenza Creative Commons alle proprie fotograï¬e pubblicate su un
sito Internet, il logo della licenza scelta è in realtà anche un link permanente alla pagina
della relativa Commons Deed (vedi capitolo
Lessico
). Oltre alle Commons Deeds, sono
state create delle apposite icone che schematizzano ulteriormente, a livello graï¬co, il sen-
so delle licenze Creative Commons.
E’ stato anche ideato un modo semplice per incorporare la licenza al ï¬le stesso, attraverso
l’aggiunta di metadati rintracciabili dai motori di ricerca: il Digital Code che, essendo scritto
in linguaggio informatico, è univoco e ha lo stesso signiï¬cato in tutto il mondo.
Le Creative Commons nascono infatti (e si sviluppano) all’interno dell’ambito digitale e
multimediale.
Al momento (inverno 2007-2008) le licenze Creative Commons italiane sono arrivate alla
versione 2.5 e si sta discutendo l’uscita della versione 3.0, della quale è stata pubblicata
già una bozza nell’estate 2007.
La licenza “attribuzione†italiana
Questa prima licenza ha come condizione unica il riconoscimento del contributo dell’auto-
re, e può corrispondere, in Italia, al concetto giuridico di “diritto morale al riconoscimento
della paternità dell’operaâ€.
Ha però effetti diversi perchè, se non fosse citata, l’autore avrebbe diritto a intraprendere
un’azione legale extracontrattuale (cosa che non accade con il diritto morale italiano cita-
to).
La clausola no derivative works (o no derivs)
Vieta la modiï¬ca dell’opera e la creazione di opere derivate dall’originale.
Signiï¬ca che l’opera nella sua interezza è libera di circolare, però non si possono prender-
ne delle parti per creare qualcosa di nuovo.
La clausola non commerciale
Questa clausola concede all’autore di riservare per sè stesso il diritto di sfruttamento com-
merciale dell’opera e lo vieta ad altri. Può quindi contattare intermediari come case edi-
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stanza richiesta e utilizzata (da sempre Creative Commons cerca di mantenere il panora-
ma delle licenze più semplice possibile, eliminando quelle inutili, ridondanti o non richieste),
ma soprattutto perchè la fondazione Creative Commons preferisce appoggiare licenze che
lascino all’opera alcune libertà fondamentali, come quella di circolare liberamente.
Copyzero X
La licenza Copyzero X viene sviluppata in Italia dal Movimento Costozero e viene presen-
tata con una schematicità quasi spiazzante.
Consiste in un elenco di diritti che è possibile concedere, ognuno dei quali ha un’apposita
casellina che è possibile spuntare. Se la singola voce viene contrassegnata da una lettera
X, signiï¬ca che il diritto in questione viene concesso dall’autore.
Sembra fatta apposta per l’utente medio italiano che poco o nulla sa in materia di copyright
e copyleft: è semplice da capire e da gestire.
Avendo la Copyzero X origini italiane, affronta al suo interno tutte quelle tematiche tipica-
mente nostrane che concernono il diritto d’autore (come il noleggio e i rapporti con la SIAE)
e che nelle licenze di tipo copyleft vengono normalmente solo accennate o addirittura
taciute. Si può consultare e scaricare all’inidirizzo http://www.costozero.org/wai/licenza.
html.
[I loghi delle licenze Creative Commons]
opere documentative più diffusa nel mondo e copre le pubblicazioni correlate a GNU/Linux
nonchè l’intera Wikipedia.
E’ di tipo copyleft e persistente: ogni modiï¬ca va rilasciata sotto la stessa licenza dell’ori-
ginale.
Consente l’uso commerciale, anche a ï¬ni di lucro, nel senso che si può richiedere un
compenso per le opere distribuite, le quali però devono essere rilasciate sempre sotto la
medesima licenza.
Per approfondimenti, vedere il capitolo
Free Software
.
ArtLibre
La licenza ArtLibre, o Free Art License, viene sviluppata da Copyleft Attitude, un progetto
francese impegnato nella sensibilizzazione sul tema del copyleft applicato alle opere d’ar-
te.
Viene consigliata dalla stessa Free Software Foundation per tutte quelle opere non softwa-
re e non documentative.
Vieta di inserire parti di opere coperte da copyright in un’altra con licenza copyleft e vice-
versa (cioè, parti di un’opera sotto licenza copyleft non possono diventare parte di un’altra
opera coperta da copyright).
E’ di tipo ShareAlike, quindi persistente.
Licenza Sampling
La licenza Sampling di Creative Commons permette di utilizzare una parte dell’opera per
creare qualcosa di nuovo.
Ad esempio, di una canzone sotto licenza Sampling si può campionare una parte e porla
in un pezzo nuovo, di una foto si può ritagliare un dettaglio da inserire in un collage, di un
ï¬lm si può catturare un frame e farlo diventare parte di un video, eccetera.
Ne esistevano tre diverse opzioni: Sampling, SamplingPlus e SamplingPlus-NonCommer-
ciale.
La SamplingPlus permette l’uso commerciale (ma non a scopi pubblicitari) di parte del-
l’opera e la copia e diffusione non commerciale dell’opera intera (quindi il ï¬le sharing è
permesso); la SamplingPlus-NonCommerciale, invece, permette la diffusione dell’opera
(in parte o interamente) per soli scopi non commerciali.
L’opzione Sampling base è stata ritirata nell’estate del 2007 perchè proibiva la copia e/o
diffusione dell’opera intera. Questo non signiï¬ca che opere precedentemente cedute sotto
questa licenza non saranno più sotto lo stesso regime di copyleft, perchè i link alla licenza
rimarranno sempre attivi. Semplicemente non verrà più distribuita, perchè non era abba-
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L’ambito web è quello in cui si sono sviluppate le Creative Commons, ed è anche l’ambien-
te nel quale queste licenze trovano le condizioni migliori per essere applicate.
In rete è più semplice inserire una licenza copyleft e il relativo link alla deed, oppure ren-
dere direttamente linkabile il simbolo di Creative Commons.
Ma Internet è anche il campo in cui è necessario prestare più attenzione a queste temati-
che, perchè i contenuti e i materiali (siti web, scritti, foto, video eccetera) hanno molte più
possibilità di circolare, di essere visti, di essere linkati, scaricati e ripubblicati da chiun-
que...
In rete si moltiplica anche il pubblico, ma nello stesso tempo aumentano le possibilità che
-proprio tra il pubblico- ci sia qualcuno che conosce poco o nulla della questione copyright
e, quindi, anche di Creative Commons e nuove licenze.
Inoltre, molti pensano che il materiale disponibile in Internet sia di tutti, e per questo utiliz-
zabile per qualsiasi scopo, ma ovviamente la questione è un po’ più complessa.
Con i siti web si presenta un ulteriore problema: il sito può essere infatti considerato un
“contenitore†nel quale vengono inserite diverse opere. Ma anche il contenitore è un’opera
a sè stante, spesso formato da più parti (la graï¬ca, il codice sorgente, la musica eccetera)
che possono avere licenze differenti. Bisogna quindi fare distinzioni ben precise e speciï¬-
care per ogni contenuto la relativa licenza da applicare, e soprattutto, se siamo il webma-
ster del sito stesso, essere sempre rintracciabili attraverso un indirizzo email attivo.
Se, ad esempio, creassimo un sito per pubblicare le nostre fotograï¬e, potremmo rilasciare
sotto pubblico dominio il codice sorgente del sito, e sotto una licenza NoDerivs le nostre
foto, semplicemente indicandolo dove necessario (sulle pagine del sito la prima, sulle foto
o come metadata la seconda).
Un altro discorso va fatto per i cosiddetti siti web dinamici, ad esempio i forum, i blog, i siti
l’uso del copyleft nel
2.3
web
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Lo studio delle licenze, in Italia, e della loro legittimità all’interno del nostro panorama giu-
ridico, è afï¬data ad alcune associazioni no proï¬t e a forum di discussione.
La SIAE ha cominiciato ad occuparsi delle licenze Creative Commons solo nell’inverno
2007, ed è ancora presto per sapere come andrà a ï¬nire.
Tra le iniziative no proï¬t segnaliamo:
Diritto e Tecnologie
http://www.digitallex.com/ Digital Lex
Portale italiano che si occupa del diritto applicato alle nuove tecnologie.
Contiene una vastissima sezione sulle attuali normative italiane su copyright e diritto d’au-
tore, privacy, e-commerce, creative commons... e una sezione per il download di materiale
libero.
Frontiere Digitali
http://www.frontieredigitali.net/index.php/Frontiere_Digitali
Sistema wiki per la collaborazione online allo scopo di modiï¬care proposte di legge ine-
renti la comunicazione, le libertà digitali e le nuove licenze. Nato per l’organizzazione della
Settimana delle Libertà Digitali 2006, si è poi proposto come spazio virtuale in cui le varie
associazioni che hanno uno scopo in comune possono incontrarsi e scambiarsi opinioni e
proposte. Ha anche uno sportello di consulenza legale sempre attivo (Liberius).
Movimento Costozero
http://www.costozero.org/
Associazione no proï¬t che, oltre ad aver creato la licenza Copyzero X, è anche impegnata
in diversi progetti che hanno come scopo la libera comunicazione, il libero accesso ai ca-
nali di informazione e l’utilizzo del free software all’interno della pubblica amministrazione
italiana.
copyDOWN
http://copydown.inventati.org
Dal 2001, il sito di copyDOWN è uno spazio di condivisione di risorse e di dibattito sul tema
del no copyright, delle nuove licenze e delle autoproduzioni, al quale chiunque può contri-
buire pubblicando recensioni, commenti, articoli.
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26
Il mondo dell’editoria è quello che gira intorno alla preparazione, edizione e divulgazione
di testi scritti; comprende autore, editore, pubblico.
L’autore è colui che scrive il testo, e detiene i cosiddetti diritto morali dell’opera (il diritto
d’autore, appunto, che è qualcosa di diverso dal copyright: per le deï¬nizioni vedere il capi-
tolo
Lessico
). E’ sempre l’autore che decide o meno se divulgare i propri testi, in che modo
e a quali condizioni, e su questo aspetto tutte le legislazioni si trovano d’accordo. Spetta a
lui, inoltre, l’ultima parola su eventuali modiï¬che da apportare al testo.
Gli editori sono i “manager†degli autori: correggono, sistemano, abbelliscono, vestono
graï¬camente, pubblicano, promuovono e distribuiscono il libro.
Inï¬ne viene il pubblico, senza il quale tutto questo mondo non potrebbe avere vita, perchè
-nonostante le varie strategie di marketing che tendono a creare nuove tipologie di pub-
blico, prima inesistenti, al solo scopo di vendere qualcosa di nuovo- è il lettore che decide
il successo o meno di un libro, ed è tra il pubblico che vari elementi della nostra societÃ
danno vita a quella cultura senza la quale la creazione in generale (e, nel caso speciï¬co,
la creazione di testi scritti) sarebbe impossibile.
Nonostante questa grande importanza, il ruolo del pubblico non viene assolutamente con-
siderato dalla legislazione in questo campo.
Nel capitolo sul free software troviamo che un programma è libero quando compie le quat-
tro libertà fondamentali sancite da Richard Stallman (vedi capitolo
Free Software
).
Per le altre opere dell’ingegno umano, una creazione è sotto regime copyleft quando la
sua diffusione e la distribuzione non sono commerciali.
l’uso del copyleft nell’
2.4
editoria
di testi scritti
creati attraverso piattaforme wiki, ovvero tutti quelli in cui l’utente ha la possibilità di intera-
gire lasciando commenti, iniziando discussioni o pubblicando materiale di vario genere.
Se uno di questi utenti, magari anonimamente, pubblicasse materiale coperto da copyright
in un blog il cui contenuto è sotto licenza copyleft, ci sarebbe un rischio per il gestore del
sito, il quale potrebbe avere problemi con l’autore. Esiste però un modo abbastanza sem-
plice per tutelarsi: l’utente del blog o forum, per effettuare un upload sul sito, viene obbli-
gato a spuntare una casellina con la quale dichiara che il materiale inserito non è coperto
da copyright.
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A seconda delle risposte che si darà , avrà una licenza copyleft già pronta che fa al caso
suo.
A questo punto ci si pone, naturalmente, un’altra domanda: perchè afï¬dare il proprio lavo-
ro ad una licenza copyleft, se lo scopo di ogni autore è farsi conoscere il più possibile dal
pubblico e vivere del proprio lavoro?
La risposta è presente già nei discorsi fatti nei capitoli precedenti (e successivi!).
Dobbiamo fare uno sforzo per cercare di uscire, per un momento, da quei modelli eco-
nomici e sociali che già siamo abituati a conoscere, e immaginare che le cose possano
andare diversamente.
Le licenze di tipo copyleft sono perfette per la circolazione dei saperi in Internet, dove non
esistono barriere geograï¬che e tecnologiche.
Da diverse felici esperienze è facilmente intuibile che la circolazione gratuita di un libro non
fa sì che le vendite dello stesso diminuiscano o cessino; al contrario, è dimostrabile che più
un libro circola liberamente, più viene conosciuto e letto, più viene comprato (vedi capitolo
La scrittura collettiva e la scrittura collettiva online
).
Immaginiamo di trovare un libro sotto licenza copyleft interamente scaricabile da internet,
in forma gratuita. Iniziamo a leggerlo e scopriamo che ci piace, ma che la lettura a monitor
non ci permette di goderne a pieno. Allora decidiamo di stamparlo, ma ci rendiamo conto
che tra il prezzo della stampa e la rilegatura, tanto vale comprarlo in libreria! Poi decidiamo
di prestarlo ad un amico, il quale lo apprezza al punto che decide di acquistarne una nuova
copia da regalare ad un terzo, e così via.
In fondo, chi ama leggere ama anche il libro in quanto oggetto da tenere tra le mani, da
sfogliare, da toccare, da regalare, da tenere sul comodino, da portare con sè per poterlo
leggere durante i viaggi, da apprezzare per la sua veste graï¬ca e l’impaginazione.
Se una persona non ha 20-25 euro da spendere per un libro che vuole leggere, e questo
libro ha una dicitura che permette la diffusione dell’opera intera senza animo di lucro, allora
lo può anche fotocopiare o scansire con OCR o scaricare da Internet, perchè questa azio-
ne non presuppone per lui un ingresso economico, cioè non viene fatta a scopo di lucro,
ma solo per poter
leggere
.
E’ proprio questo uno dei ï¬ni delle licenze copyleft: la libera circolazione dei saperi.
Perchè uno che ha 20 euro in tasca e può permettersi di comprare un libro appena uscito
deve avere anche il diritto di ampliare le proprie conoscenze, mentre uno che quei 20 euro
deve spenderli per mangiare una settimana deve rimanere un bifolco? Certi diritti sono di-
ventati privilegi, e così che senso ha? Vogliamo tornare al Medioevo, vogliamo creare delle
La storia del copyleft nell’editoria nasce nei movimenti di controcultura tra gli anni Settanta
e Ottanta. In principio, si parla esplicitamente di anti-copyright, un’etichetta in netta con-
trapposizione con le restrittive leggi allora vigenti sul diritto d’autore.
Nasce il fenomeno dell’auto-aditoria, che però resta relegato ad una cultura underground
e semisconosciuta, senza riuscire a diventare quello strumento di liberazione dalle case
editrici e dalle restrizioni da esse imposte che voleva essere.
In particolare, un caso di no copyright editoriale ben riuscito fu il progetto UPS (
Under-
ground Press Syndicate
, ovvero
Sindacato della Stampa Sotterranea
). Viene fondato nel
1967 dai direttori delle cinque maggiori testate underground americane come associazio-
ne che tuteli gli autori dell’ambiente “sotterraneoâ€. Tutto il materiale delle riviste aderenti
all’agenzia era assolutamente libero per qualsiasi altro membro, il quale aveva la libertà di
utilizzarlo in tutto o del parte come voleva e senza chiedere il permesso. Nonostante il fe-
nomeno si sia estinto da sè, più o meno insieme agli stessi movimenti giovanili dell’epoca,
l’UPS ha lasciato un’enorme quantità di materiale letterario e fotograï¬co che nei decenni
successivi è stato liberamente riciclato e modiï¬cato proprio grazie a quel “no copyrightâ€, al
suo essere stato “donato†anzichè posto sotto copyright.
Oggi, l’applicazione del copyleft in editoria risolve molti problemi, perchè -tra le altre cose-
non nega la legislazione già presente, ma la amplia; inoltre è flessibile e possiede una
gamma di sfumature e gradi tale che ognuno può scegliere la licenza che più gli aggrada,
a seconda dei diritti che vuole conservare e delle libertà che decide di permettere.
L’autore può anche creare una nuova licenza, se ne ha la possibilità e possedendo le co-
noscenze del caso; l’importante è che essa non sia contraddittoria e non vada contro la
legge. Ovviamente, esistono già in circolazione diversi modelli di licenze, appositamente
studiati e sperimentati, che l’autore può applicare ai propri scritti.
Creative Commons è un’associazione no-proï¬t a disposizione di autori ed editori, che negli
utlimi anni ha messo in circolazione una serie di licenze copyelft di vari gradi, chiamate
appunto Creative Commons, che sono già state tradotte e adattate alle legislazioni di oltre
30 paesi differenti, e che continuano a svilupparsi e migliorarsi.
Per scegliere la licenza Creative Commons che più fa al suo caso, l’autore deve porsi tre
domande:
• voglio permettere l’uso commerciale dei miei scritti?
• voglio permettere modiï¬che alla mia opera?
• e, nel caso che voglia permettere queste modiï¬che, voglio anche che le opere derivate
siano rilasciate sotto la stessa licenza dell’opera originale oppure no?
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vocazione e ancora non sono famosi al grande pubblico (che sono poi la maggior parte).
Sono invece i piccoli editori i più inclini all’apertura verso il copyleft, forse perchè anch’essi,
come i giovani autori, lavorano più per vocazione che per denaro.
Ci sono però due tipi di ingressi economici che, in ogni caso, sarebbero incompatibili an-
che con la forma più blanda di copyleft: gli ingressi generati dal canone sulle fotocopie e
quelli derivanti dalle biblioteche.
L’utilizzo delle licenze di tipo copyleft nei campi della didattica e della ricerca scientiï¬ca
moltiplica le possibilità di diffusione della cultura.
L’idea di poter leggere il codice sorgente di un software nasce proprio per dare la possibi-
lità di apportare modiï¬che e migliorie al software stesso, promuovendo la collaborazione
e il libero scambio di idee. Lo stesso accade nell’ambiente scientiï¬co e accademico: porre
un copyright restrittivo su ricerche e studi signiï¬cherebbe mettere un freno allo sviluppo.
Le licenze copyleft sono utili anche quando vengono applicate a materiali didattici come ad
esempio le slide utilizzate durante le lezioni in aula, i testi dei programmi, i commentari ed
in generale tutta la produzione indipendente frutto del lavoro dei singoli insegnanti, perchè
evitano che altri professori debbano riscrivere l’intero testo per non violarne il copyright. Si
tratta infatti di materiale che solitamente perde la propria utilità nel corso di un anno acca-
demico o due.
Nella pratica, le licenze copyleft antepongono l’interesse pubblico e culturale ad un altro
più strettamento privato e, soprattutto, economico.
Creative Commons dedica una parte del proprio tempo e spazio alla condivisione del sa-
pere scientiï¬co attraverso il progetto ScienceCommons, nato nel gennaio 2005.
ScienceCommons parte dal presupposto che lo sviluppo scientiï¬co dipende anche dall’ac-
cesso alle informazioni e agli studi fatti precedentemente, dall’apertura e dalla condivisio-
ne delle banche dati, dallo scambio di risultati e dal dibattito aperto.
Per questo si impegna a facilitare l’accesso e l’utilizzo di pubblicazioni scientiï¬che e dati a
scienziati, studiosi, laboratori, università e industrie.
caste privilegiate, vogliamo fare del mondo un luogo dove “ricco†signiï¬ca “sapienteâ€?
Se un autore è un buon autore, o comunque è apprezzato dal pubblico, verrà premiato, e
proprio dal pubblico stesso.
Il romanzo “
Q
†di WuMing è scaricabile da internet gratuitamente, eppure è arrivato alla
dodicesima edizione e ha superato le 200000 copie vendute già nel 2006 [vedi nota 2]. E
non si tratta di un caso unico, ovviamente.
Lo stesso discorso può essere fatto benissimo all’interno di altri contesti.
Un esempio su tutti è il caso del ï¬lm “
Donnie Darko
â€. Quando uscì in America, nel 2001,
il ï¬lm fu un flop gigantesco: costato 4,5 milioni di dollari, ne incassò solo 500mila. Ma più
tardi iniziò a circolare tra gli studenti inglesi, che se lo passavano -illegalmente- attraverso
le reti P2P (vedi
Lessico
). Approdò in Europa, dove fu presentato a diversi festival e accol-
to benissimo da pubblico e critica. Visto il successo, fu inï¬ne distribuito anche sul mercato
europeo nel 2004: la produzione chiuse ï¬nalmente in forte attivo e “
Donnie Darko
†è oggi
riconosciuto tra i 100 ï¬lm più belli della storia del cinema. Questo happy end è stato possi-
bile solo attraverso una rete di scambio culturale: il ï¬le sharing. [vedi nota 3]
Il mercato editoriale non ha ancora visto retate di massa e processi alle nuove tecnologie
come è già successo nell’industria discograï¬ca, e i motivi sono strettamente economici: la
musica muove molto più denaro del libro, e gli interessi da difendere sono maggiori (così
come più grandi e più potenti sono gli stessi soggetti che gestiscono tale industria). Dopo-
tutto, viviamo nella società dell’immagine.
Un ostacolo alla possibile espansione del copyleft all’interno del mercato dell’editoria è
la composizione stessa di tale mercato. Le normali condizioni poste da un editore sulla
stampa di un libro sono generalmente quelle del copyright classico: è vietata la riproduzio-
ne parziale o totale dell’opera con qualsiasi mezzo, la copia, il trattamento informatico, il
prestito e il noleggio. Si tratta di un mondo abbastanza conservatore, nel quale, se l’autore
propone qualcosa di differente dalla classica clausola copyright, l’editore farà di tutto per
fargli cambiare idea, in maniera da conservare tutti i diritti per sè (la maggior parte delle
volte, la casa editrice con il contratto compra ogni diritto di sfruttamento dell’opera e ottiene
così l’esclusiva). Solitamente, l’autore viene pagato con una percentuale in base al nu-
mero delle copie vendute. Può sembrare un sistema barbaro, ma bisogna sempre tenere
conto dei forti investimenti che vanno affrontati per la pubblicazione di un libro.
Per questo, anche se ci sono stati precedenti di grandi case editrici che hanno rilasciato
l’opera di un proprio autore sotto una licenza copyleft, normalmente l’editore non vuole cor-
rere il minimo rischio, soprattutto con piccoli autori semisconosciuti che scrivono solo per
2.4.1 L’editoria scientiï¬ca e didattica
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gli occhi, compresa quella che stavolta ha ispirato il burlone reo, confesso e recidivo. Non
esistono i “Cacciatori di Satanaâ€. Perché dovrebbero esistere i “Bambini di Satanaâ€?
[...] “
(da un articolo di Diego Gabutti apparso sul quotidiano
Il Giorno
del 10 agosto 1997).
Nel 2000, dalle ceneri ancora calde del suicidio rituale di Luther Blisset operato dagli stessi
autori di “Qâ€, nasce il collettivo Wu Ming, che in mandarino cinese signiï¬ca “nessun nomeâ€,
ad indicare la precisa volontà del gruppo a focalizzare l’attenzione di pubblico e massme-
dia sull’opera e non sull’â€autore-starâ€.
Altro aspetto centrale della produzione di Wu Ming (i cui nomi, nonostante l’abitudine a
ï¬rmarsi sempre “Wu Ming†seguito da un numero, sono noti) è la possibilità di scaricarla
gratuitamente da Internet. Ciononostante, i suoi libri sono disponibili anche in libreria e,
spesso, hanno raggiunto un tale successo che le ristampe sono state numerose. Ecco
l’esempio più felice dell’applicazione di un modello economico alternativo a quello tradizio-
nale: Wu Ming scrive bene, i suoi scritti circolano liberamente (anche in Internet e gratuita-
mente) e la gente, semplicemente, li compra. Non si tratta solo di fortuna.
Wu Ming diventa anche una fondazione che, tra le altre cose, pubblica una rivista a dif-
fusione telematica, “Giap!â€. Il gruppo iQuindici nasce dall’impossibilità , per la Wu Ming
Foundation, di leggere i numerosi manoscritti inviati a “Giap!†dagli utenti di Internet. Non si
tratta di una casa editrice, ma di persone che si impegnano (anche attraverso la pubblica-
zione di un proprio manifesto che esterna etiche e principi) a leggere i manoscritti inviati e
a restituirli con correzioni, commenti, opinioni, impressioni dopo un lavoro di cooperazione
online svolto all’interno di un forum ad accesso privato. E’ un servizio gratuito che pone
una sola condizione: il rilascio dell’opera sotto una licenza copyleft (ovviamente solo nel
caso di pubblicazione e divulgazione).
Il progetto MetroBar nasce invece nel 2004.
Stefano Cafaggi alla ï¬ne del 2004 scrive e pubblica online un racconto, “
Il bar nel-
la metropolitana
â€, descrizione di uno sporco bar di una stazione della metropolita-
na, un non-luogo collocabile in qualsiasi agglomerato urbano, un angolo buio e fu-
moso dove la luce del sole non arriva mai e migliaia di vite e storie si sï¬orano e, a
volte, si intrecciano. Alcune parole del racconto-radice sono in realtà link ad altri rac-
conti che sono stati scritti e inviati da scrittori più o meno anonimi, parte del popolo
della rete. A loro volta, i sub-racconti inviati diventano radici di altri parti del romanzo.
Le narrazioni del progetto MetroBar continuano a nascere solo con contributi spontanei,
senza nessun tipo di pubblicità o spinta forzata. Il romanzo si autosviluppa/inviluppa al-
l’infuori e dentro sè stesso, le storie si intrecciano e alimentano tra loro, in una fantastica
“mezcla†di stili. Il risultato è appunto una narrazione potenzialmente inï¬nita e dallo svi-
Per scrittura collettiva si intende, normalmente, la realizzazione di testi narrativi a più mani,
nello stesso luogo e nello stesso momento. Per la stesura di testi documentativi fatta da
più persone si usa parlare invece di scrittura collaborativa.
Nel 2006, per opera di un gruppo di esperti romani, Scrittura Collettiva® è anche diventato
un marchio depositato, utilizzato per la realizzazione di progetti collettivi a carattere peda-
gogico all’interno di scuole, ospedali e carceri.
Ovviamente, con la diffusione di Internet, la pratica della scrittura collettiva ha potuto ap-
proï¬ttare di uno strumento in più, ed è venuta meno quella che era una delle sue caratte-
ristiche. Per questa ragione, la scrittura collettiva online fa parte di una categoria distinta
(l’autore è non solo multiplo ma anche ubiquo).
Il panorama italiano della scrittura collettiva online ha raggiunto livelli di sviluppo notevoli,
grazie anche alle azioni concrete di soggetti che si sono fatti promotori di una nuova visio-
ne della proprietà intellettuale, nonchè dell’accesso libero e gratuito alla cultura.
Per molto tempo, infatti, la pratica della scrittura collettiva è rimasta una specie di gioco,
ï¬nchè negli ultimi anni non ha acquistato una rilevante importanza a livello nazionale gra-
zie alle felici esperienze di collettivi come Wu Ming e Kai Zen.
Nel 1999 Luther Blissett, padre e fratello di tanti multiple names, scrive “
Q
†(o meglio, lo fa
una cellula bolognese del Luther Blissett Project...), il quale diventerà poi uno dei romanzi
più appassionanti e più letti degli ultimi decenni (dodici edizioni non sono poche..) [vedi
nota 2].
Luther Blissett, tra le altre cose, è anche un esperimento di sabotaggio dell’informazione
italiana perfettamente riuscito, operato nell’arco di cinque anni attraverso scherzi, messe
in scena, depistaggi, performance, lettere false, video. Un gioco che però è riuscito nel suo
intento: screditare il sistema dell’informazione per far sì che qualche italiano si interrogas-
se, ï¬nalmente, sull’effettiva veridicità del flusso di notizie che ci viene propinato tutti i giorni
da giornali e televisione. E tutto questo non è opera di una persona, ma di un “nome multi-
ploâ€, una creazione con “sorgente apertaâ€, un nome che appartiene a tutti e che chiunque
può utilizzare.
“
Fossero solo scherzi, si riderebbe e amen. Ma c’è qualcosa d’inquietante nei miraggi
messi a fuoco da Luther Blissett. Ogni burla riuscita del guerrigliero massmediatico sug-
gerisce un dubbio radicale sulla natura dell’informazione e della realtà . Potrebbero essere
burle, volontarie o involontarie poco importa, tutte quante le notizie che ci scorrono sotto
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2.4.2 La scrittura collettiva e la scrittura collettiva online
3.0
distribuire
luppo assolutamente rizomatico, molteplici parti dello stesso grande racconto collegate
tra loro a volte solo da una parola, una grande storia formata da inï¬ nite schegge di storie,
creata da inï¬ niti autori, non pubblicabile e non fruibile in nessun luogo all’infuori di Internet.
Per questo il progetto MetroBar viene visto come una sorta di ipertesto letterario.
Siti italiani che si occupano di scrittura collettiva
http://www.anonimascrittori.it/ Anonima Scrittori
http://www.iquindici.org/ iQuindici
http://www.kaizenlab.it/ Kai Zen
http://www.letteraturainterattiva.it/ Associazione di Letteratura Interattiva
http://www.neuendeproject.com/apparatschikindex.htm Neuende Project
http://www.fragmenta.it/metrobar/ Progetto MetroBar
http://storiaquasiinï¬ nita.splinder.com/ Rosa LaMattina
http://www.wumingfoundation.com/ Wu Ming Foundation
http://www.scritturacollettiva.org/ SIC Scrittura Industriale Collettiva
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libertÃ
di
[Luther Blissett. Così dicono.
Di Andrea Alberti & Edi Bianco
Immagine sotto pubblico dominio.]
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Secondo Wikipedia, “
...un software libero è un software rilasciato con una licenza che
permette a chiunque di utilizzarlo, studiarlo, modiï¬ carlo e redistribuirlo; per le sue caratte-
ristiche, si contrappone al software proprietario
â€.
Si può dire che il free software si sviluppa quasi contemporaneamente con la nascita del
software stesso.
Però è solo negli anni Ottanta che intorno a questo concetto iniziano a crescere anche
una vastissima comunità e un’ideologia, frutto della reazione alle crescenti e opprimenti
grandi industrie di software, che stavano abituando gli utenti a concetti come la proibizione
del prestito del software da essi acquistato, o l’impossibilità di modiï¬ care il codice del pro-
gramma per uso proprio e privato.
Si stima che il volume dei software liberi disponibili si duplichi approssimativamente ogni
due anni. In sourceforge.net quasi 500.000 programmatori lavorano allo sviluppo di 170.000
programmi open source. [vedi nota 5]
Molti di noi usano software liberi senza nemmeno saperlo (il caso più eclatante è quello di
Firefox, il browser della Mozilla Foundation).
Nonostante questa grande diffusione, il software libero è per molti ancora un mistero, un
oggetto sconosciuto.
Spesso (a causa della parola “
free
†presente nel nome, che in inglese signiï¬ ca sia “
libe-
ro
†sia â€
gratuito
â€) il free software viene associato all’idea di un software gratis, scaricabile
da Internet senza dover pagare nulla. Ovviamente non è così, perchè quel “
free
†non si
riferisce al prezzo. Infatti una versione completa GNU/Linux in un grande magazzino può
arrivare alla cifra di 100 euro, anche se spesso i software liberi vengono rilasciati dietro il
pagamento di una somma abbastanza modesta (il prezzo di un software libero dipende da
chi lo redistribuisce, e ovviamente può essere redistribuito anche in forma gratuita).
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[Tux, la mascotte di Linux.
Di Larry Ewing, Simon Budig and Anja Gerwinski]
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ley, California, negli anni Ottanta, per la redistribuzione di una nuova versione del sistema
operativo proprietario Unix; obbliga a riconoscere l’autore, ma non a mostrare il codice
sorgente del programma.
Le licenze di tipo copyleft, invece, vengono deï¬nite anche robuste perchè impongono che
la nuova versione del programma venga rilasciata sempre sotto lo stesso tipo di licenza. In
questo modo la catena non si spezza, il codice sorgente resta a disposizione di chi vuole
studiarlo, il software rimane libero, e al distributore possono derivare nuove entrate, come
ad esempio quelle del lavoro di consulenza.
Inoltre non si corre il rischio che un programma open venga “acchiappato†da una industria
di software, chiuso e commercializzato.
La più famosa delle licenze open è la GNU GPL (la General Public License del Progetto
GNU), anche conosciuta semplicemente come GPL.
Inizialmente creata per la distribuzione del programma della Free Software Foundation,
la GNU GPL è oggi la licenza più utilizzata al mondo per la diffusione di programmi di tipo
free, come il kernel Linux, i desktop GNOME o KDE, il browser Mozilla Firefox, e OpenOf-
ï¬ce (l’alternativa open al pacchetto di Windows Ofï¬ce).
Con una licenza GPL, inoltre, anche le opere derivate sono soggette alla stessa licenza
dell’opera originaria. In questo modo, non c’è il pericolo che vengano distribuite copie di
un programma modiï¬cato che al suo interno possegga sia parti di codice libero sia altre di
codice proprietario. E’ questo il cosiddetto “effetto viraleâ€, studiato appositamente per non
poter combinare una licenza copyleft con una di tipo permissivo.
La GNU LGPL è una licenza simile alla GNU GPL ma più permissiva (quella
L
sta infatti
per “
lesser
â€). Utilizzata in genere per le librerie software, permette di utilizzare parti del co-
dice anche in software non liberi (a condizione che esse vengano rilasciate sotto la stessa
licenza).
“
Promuovere l’utilizzo dei sistemi disponibili nella ï¬losoï¬a e nel modello open source vuol
dire praticare una forma di consumo critico e responsabile. Signiï¬ca infatti affermare il riï¬u-
to dei monopoli e della sudditanza nei confronti delle grandi multinazionali che ci conside-
rano degli utenti-merce. Ma vuol anche dire promuovere l’alfabetizzazione informatica, per
una più equa distribuzione delle risorse (in termini di sapere, informazione, competenze,
3.1.1 Perchè produrre free software? E perchè usarlo?
Inoltre, in rete esistono numerosissimi programmi freeware, cioè scaricabili gratuitamente
e legalmente, che però non sono affatto liberi per quanto riguarda il codice.
Se si aggiunge il fatto che molti programmi normalmente ottenibili solo dietro pagamento
si trovano gratis -debitamente e illegalmente crakkati- sulle reti di ï¬le sharing, allora si può
capire come la confusione tra gli utenti (già imperante) non faccia altro che trovare nuove
strade per dilagare.
Quindi in cosa consiste la cosiddetta libertà di questi programmi?
Innanzitutto va detto che il concetto di libertà nel free software è soprattutto etico e giuridi-
co, e non tecnico, tecnologico, informatico o economico.
Richard Stallman deï¬nì le quattro libertà del software libero:
• libertà 0: usare il programma senza restrizioni
• libertà 1: studiarlo e adattarlo a necessità personali
• libertà 2: redistribuirlo
• libertà 3: migliorarlo e pubblicarne le modiï¬che apportate
Per esercitare le libertà 1 e 3, è necessario che il codice sorgente del programma sia ac-
cessibile a tutti (per questo un free software deve necessariamente essere anche di tipo
“open sourceâ€, ovvero “a sorgente apertaâ€). Non è invece vero il contrario, ovvero un pro-
gramma open source non è sempre un programma libero: se il codice è disponibile per chi
vuole leggerlo, ma la modiï¬ca e la redistribuzione non sono permesse, allora non si tratta
di un software libero.
Per far sì che un free software mantenga le quattro libertà , andrà concesso sotto un certo
tipo di licenza, che dovrà essere anch’essa di tipo libero.
Le licenze libere possono essere suddivise in due grandi categorie:
• licenze permissive (che non pongono restrizioni al momento della seconda redistribuzio-
ne del software);
• licenze robuste, o copyleft.
Le licenze permissive danno la possibilità di studiare, modiï¬care e -a questo punto- redi-
stribuire il software nella nuova versione modiï¬cata.
Se mancano le indicazioni sulla redistribuzione, il software modiï¬cato potrà essere rila-
sciato addirittura come software proprietario (ovvero: quello che era free software non lo
è più).
La più famosa -e la prima- di queste licenze è la BSD (Berkley Software Distribution), tanto
che si usa chiamare così tutte le licenze derivate o simili. Fu creata nell’Università di Berk-
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Altri tipi di entrate derivano dalla distribuzione: è perfettamente legale distribuire una ver-
sione di un programma libero e farla pagare, anche molto. Non ci sono limiti al prezzo di un
free software. La Free Software Foundation incoraggia questo tipo di attività perchè ritiene
giusto che lavorare ad un programma libero sia anche un modo per guadagnarsi da vivere,
perchè crede in un modello economico reale e sostenibile, e perchè la società stessa vive
di donazioni e di parte degli incassi derivanti dalle redistribuzioni. Infatti sarebbe giusto de-
volvere una parte di queste entrate alla fondazione per far sì che il progetto continui; non
c’è però nessuna legge che obblighi il distributore a farlo.
Far pagare per una versione di un free software non esclude, in ogni caso, che esso sia
sempre e comunque disponibile gratis per chi non può permettersi di comprarlo.
Legalmente, il free software si può copiare da un amico che già lo possiede, oppure sca-
ricare gratuitamente da Internet, ed è anche possibile acquistarne una sola copia e poi
installarla su più macchine, anche appartenti a persone diverse.
Può suonare strano, ma nella pratica è stato riscontrato che di free software si può vivere.
Il problema di fondo di questo tipo di industria è trovare abbastanza risorse per poter an-
dare avanti (per risorse, in questo caso, si intendono i programmatori, persone in grado di
sviluppare una quantità sufï¬ciente di software liberi) e capire se -con i modelli economici
attuali- questa realtà è destinata ad avere un futuro di ampio respiro oppure a soffocare
sotto il potere economico delle grandi multinazionali e le leggi oppressive.
Questo panorama sarebbe molto più facilmente realizzabile se, utopicamente parlando,
ogni programmatore del mondo si accontentasse di uno stipendio normale atto a farlo vi-
vere più che dignitosamente, ma oggi assistiamo -in ogni campo- ad un fenomeno inquie-
tante ed assurdo: poche persone vengono pagate tantissimo per il lavoro che svolgono,
mentre la maggior parte della categoria deve accontentarsi di poco o niente, e in alcuni
casi abbandonare il lavoro stesso perchè da esso non può ottenere di che vivere. L’esem-
pio più eclatante è quello del mondo del calcio: una manciata di giocatori riceve stipendi
da capogiro, ma se l’incalcolabile massa di denaro che gira in questo ambiente venisse
ripartita equamente tra tutte le squadre di calcio della Terra, probabilmente avremmo non
solo uno sport più pulito, ma daremmo anche la possibilità a più persone di vivere con
quello che sanno fare meglio.
Panorami utopici ai quali però qualcuno non vuole smettere di credere.
strumenti), contro un accesso riservato alla tecnologia, non alla portata di tutti
.†(Nicola
Furini, “
Libero come un software
â€).
Le motivazioni che spingono un programmatore a sviluppare un software libero, o a col-
laborare al miglioramento di uno già esistente, sono principalmente etiche, esattamente
come le ragioni di un utente cosciente. Per utente cosciente si intende una persona che,
dopo essersi documentata, decide di usare un free software, lo cerca, lo compra o lo scari-
ca, ed inï¬ne lo installa (e non, quindi, tutti quegli utenti che ne fanno uso senza saperlo).
Chi, di fronte alla comodità di un software proprietario già fornito con l’acquisto di un pc,
preferisce usare parte del proprio tempo per cercare, scaricare, installare e imparare ad
usare un software libero, lo fa perchè è fermamente convinto che nuovi modelli economi-
ci e di pensiero siano realmente possibili, e perchè nel suo piccolo ha voglia di dare una
mano a cambiare il mondo che lo circonda, partendo proprio da un gesto che ai più appare
inutile: accendere il proprio pc e -ad esempio- scrivere un testo con il text editor di Ope-
nOfï¬ce piuttosto che con Microsoft Word, oppure navigare in Internet con Mozilla Firefox
invece che con Internet Explorer, o ancora guardare un ï¬lm in dvd utilizzando VLC Media
Player e non Windows Media Player.
Le ragioni etiche fanno capo a tutta una ideologia, riconducibile alla cosiddetta etica o ï¬lo-
soï¬a hacker, che vede il programma come informazione, come conoscenza, e come tale
deve essere libero di circolare, sempre, e accessibile a tutti.
Ci sono anche ragioni pratiche, di tipo economico, ovviamente.
Molti si chiedono, ragionevolmente, come si possa vivere producendo e/o distribuendo
software liberi. E’ un modello economico sostenibile nella pratica?
Esite una serie di servizi legati al software libero, fonte di ingressi economici per i pro-
grammatori. Primo fra tutti, l’assistenza: un programmatore crea e distribuisce un software
gratuitamente, dopodichè resta a disposizione come consulente per la risoluzione di pro-
blemi di tipo tecnico. Inoltre, può esserci un cliente che vuole una modiï¬ca ad un software
esistente, o -perchè no- addirittura un software del tutto nuovo, fatto su misura per lui o
per la sua azienda, ovviamente dietro pagamento. Così la “merce†resta gratis e ad essere
pagato sarà il servizio connesso a tale merce.
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Cimentarsi nella creazione di un free software signiï¬ca anche cominciare una battaglia
contro i colossi dell’industria di software, che -insieme al denaro- detengono anche molto
potere economico, e sono quindi in grado di “mettere i bastoni tra le ruote†a modelli eco-
nomici alternativi al loro. D’altro canto, un ambiente così tendente al monopolio comporta
anche un alto grado di competizione, e una conseguente alta qualità dei prodotti, senza la
quale l’utente non avrebbe motivo (se non quello strettamente etico) per scegliere un free
software piuttosto che uno di tipo proprietario.
I vantaggi legati al free software sono di tipo tecnico-qualitativo, ma i risvolti più interessan-
ti si trovano soprattutto nel campo sociale.
Spesso le case produttrici di software proprietario decidono (per strategie puramente eco-
nomiche) di interrompere la produzione di un certo prodotto. L’assurda conseguenza è che
l’utente si vedrà costretto, per esempio, a cambiare software perchè la nuova stampante
che ha appena comprato non funziona con il “vecchio†sistema operativo! Nell’ambiente
del free software questo non accade: il programma è sempre in continua evoluzione, so-
prattutto grazie agli utenti stessi, che -trovandosi ad utilizzare il programma ogni giorno-
sono i più adatti a scovare tutti quei piccoli e grandi difetti legati al software. E’ proprio
l’utente che informa il produttore di queste falle, il quale provvede a risolvere il problema
molto rapidamente (ovviamente, quando possieda le conoscenze adatte, l’utente può an-
che modiï¬care il programma per uso personale).
Essendo il codice visibile e modiï¬cabile da tutti, da un lato è più probabile che program-
matori inesperti (o esperti e malintenzionati) vi inseriscano errori e bachi, dall’altro però il
continuo monitoraggio da parte di tutti permette che queste “cattive modiï¬che†vengano
subito scoperte e riparate.Una “sorgente aperta†rende anche più facile sviluppare pro-
grammi che siano in grado di interoperare (ovvero di interagire tra loro e di avere formati
e funzioni in comune).
La possibilità di comunicazione diretta utente-produttore è una delle peculiarità più inte-
ressanti della comunità del software libero, perchè rendere un software più utile signiï¬ca
anche avere la possibilità di migliorare il nostro intorno sociale. I vantaggi investono tutti,
anche chi non ha conoscenze informatiche. Addirittura (per cause indirette) anche chi non
possiede un computer! In questo modo, il programma smette di essere qualcosa di distan-
te e incomprensibile, un oggetto fuori dal nostro controllo, ed entra a far parte della nostra
società con un ruolo più “umanoâ€.
Il problema principale del software libero, solitamente, è la mancanza di una formazione
minima degli utenti, che sono talmente abituati a certi software proprietari, alle loro inter-
facce e al modo di utilizzarle, che quando si trovano davanti a qualcosa di diverso ovvia-
mente non sanno come affrontarlo. Capita a tutti, del resto, di farsi prendere dalla pigrizia
e di non “abbandonare la strada vecchia per la nuovaâ€.
Un altro problema è che non sempre si trovano imprese disposte a distribuire il software
che siano anche in grado di fornire un adeguato supporto (come l’assistenza tecnica post-
vendita), il tutto con una certa qualità .
Mancherebbero inoltre all’appello, tra i free software, programmi di nicchia, utilizzati cioè
da poche persone o solo da una certa categoria di utenti, e una documentazione aggior-
nata e corretta. La stessa Free Software Foundation sa che quello della manualistica non
sempre aggiornata è una falla nel sistema free software. Esistono manuali aggiornati e
precisi, che però non sono liberi, e questa è una contraddizione della logica del free sof-
tware. La libertà dei manuali, allo stesso modo del programma, non risiede nel prezzo, ma
nella possibilità di copiarli e modiï¬carli: infatti i libri per GNU/Linux vengono venduti anche
dalla stessa Free Software Foundation, e costiuiscono una parte essenziale delle entrate
necessarie a far progredire il lavoro di ricerca. Ma vengono forniti come sorgente, modi-
ï¬cabili e redistribuibili. Con i manuali sotto copyright questo non è legalmente possibile,
per questo vanno contro l’etica free e non possono essere utilizzati per lo sviluppo di free
software. Con un manuale libero, fornito insieme al software stesso, per il programmatore
che apporta modiï¬che al software c’è la possibilità (e il dovere morale) di modiï¬care anche
il manuale e di redistribuirlo insieme alla nuova versione del programma. Il problema è che
questo non sempre accade, e il risultato ï¬nale è appunto una documentazione poco accu-
rata. Per la manualistica GNU, la Free Software Foundation ha appositamente creato una
licenza copyleft, la GNU FDL (GNU Free Documentation License, ovvero “
licenza libera
per la documentazione GNU
â€).
Una delle critiche mosse al software libero è che il lavoro proseguerebbe con lentezza
perchè l’“organico†è formato da programmatori che sono principalmente volontari, e in
quanto tali non incentivati a portare a termine in fretta un compito. Bisogna però ricordare
un’altro aspetto importante del lavoro volontario: le piccole aziende che non si possono
permettere di ingaggiare un programmatore, possono usufruire dei servizi della comunitÃ
del free software per migliorare i propri sistemi di gestione e di produzione.
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3.1.2 Problemi e vantaggi del software libero
Il tema della musica libera è uno dei più combattuti e discussi, forse perchè è quello che
più tocca da vicino moltissimi utenti in tutto il mondo, anche quelli che normalmente non
hanno nulla a che vedere con il mondo dell’informatica e non possiedono un personal
computer.
Il software è un oggetto che molti danno abbastanza per scontato: compriamo un compu-
ter, e insieme ad esso compriamo anche un sistema operativo proprietario (Windows), e
non pensiamo nemmeno che potremmo averne un altro.
Inoltre, la maggior parte delle persone usa il pc per svago, e non ha bisogno di programmi
molto particolari, così che non ha nemmeno la necessità di cercarne altri che già non siano
presenti nel pacchetto di Windows; per questo motivo il dilemma della scelta tra un softwa-
re proprietario e uno libero per la maggior parte degli utenti non si pone nemmeno.
Per quanto riguarda la musica è diverso.
Tutti ascoltiamo musica, tutti l’abbiamo sempre comprata, scambiata con amici, registrata
dalla radio... La musica fa naturalmente parte della vita quotidiana di ognuno di noi, da
sempre, e da ben prima che le nuove tecnologie entrassero a forza nelle nostre case.
Quando ci si è accorti che la musica poteva essere un oggetto digitale e -in quanto tale-
aveva la possibilità di viaggiare gratuitamente in Internet o sulle reti P2P, già era troppo
tardi, il trafï¬co di musica scambiata illegalmente era diventato un problema per le case
discograï¬che e per gli artisti, e ancora nessuno sapeva che quello della free music poteva
essere un mercato alternativo a quello tradizionale, e non deleterio.
E’ un discorso molto complesso, che necessita molte spiegazioni, ma è stato dimostrato
che modelli economici alternativi sono possibili anche nel campo del mercato musicale.
L’importante è cercare di liberare la propria mente, uscire da certi schemi di pensiero (ai
quali siamo ï¬n troppo assuefatti), e allora tutto apparirà molto più chiaro. Non si tratta, in-
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Oggi voglio parlare di musica e pirateria. Cos’è la pirateria? E’ quello che fa chi ruba il
lavoro di un artista senza la minima intenzione di pagare per quel lavoro.
Non mi riferisco ai programmi tipo Napster per lo scambio di musica,
ma a quello che fanno le grandi etichette discograï¬che
â€.
(Courtney Love, cantante delle Hole)
Nonostante i vantaggi pratici ed economici legati alla diffusione del software libero siano di
grande rilevanza, bisogna però notare che la conseguenza più grande (e più importante a
livello umano e sociale) è un’altra: il free software ha generato e reso di uso comune mo-
delli di pensiero totalmente differenti rispetto al passato.
Ha aperto la strada a nuovi modi di creare e di distribuire le opere dell’ingegno umano (il
concetto di copyleft, ad esempio, è nato proprio all’interno della comunità del free softwa-
re). Ha convinto milioni di persone che nuovi modelli economici, produttivi e distributivi
sono possibili, e non a livello locale, bensì mondiale, e in ogni campo della creazione
umana. Ci ha mostrato come sia possibile creare qualcosa di utile attraverso la ritrovata
cooperazione tra persone che hanno diversi obiettivi (programmatori spinti da motivi etici
e aziende desiderose di migliorare la propria produzione).
Il free software ha dato il via ad una rivoluzione che comprende anche il nostro mondo di
vedere il mondo, e che possiede tutte le potenzialità per cambiare le regole della societÃ
umana.
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[Richard Stallman (1983). Immagine rilasciata sotto licenza GDFL]
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Il focus del problema non è capire o no se il disco in quanto oggetto sparirà oppure no,
anche se io credo che questo non accadrà , o almeno non nell’immediato futuro.
Dobbiamo capire che, anche cambiando il supporto su cui viaggia, la musica (così come
ogni altra forma di cultura) non può in nessun modo sparire. L’idea di un mondo senza
musica è talmente ridicola che è quasi inimmaginabile e sembra uscita da un romanzo
di fantascienza distopica (come il mondo senza libri descritto da George Orwell nel suo
romanzo “
1984
â€).
Dobbiamo liberarci da certe paure, che da sempre accompagnano l’arrivo delle nuove tec-
nologie. Soprattutto se queste sono potenziali nuovi mezzi di scambio culturale.
Esiste addirittura un studio eseguito da due docenti universitari americani il quale dimo-
strerebbe, attraverso studi e persino formule matematiche, che il download di musica dalle
reti di ï¬le sharing non sarebbe la causa della crisi dell’industria discograï¬ca; al contrario,
le reti P2P avrebbero invece funzionato da “canale promozionale†alzando le vendite. [nota
9]. Ci si sta scagliando contro Internet senza pensare che, forse, la decisione di scaricare
musica piuttosto che comprarla può essere invece una conseguenza, e non una causa,
del calo di vendite di dischi nei negozi. Una delle conseguenze potrebbe invece essere, ad
esempio, il prezzo troppo alto di un singolo album. Sembra che qualcuno stia cercando di
rigirare le carte in tavola, ma basta osservare le cose con calma per vederle chiaramente
(o almeno, da un nuovo punto di vista).
In tutto questo grande discorso sulla musica, bisogna sempre tenere in conto che i cantan-
ti sono persone che hanno tutte le potenzialità per vivere della loro arte, e così dovrebbe
essere. Diversi casi dimostrano che afï¬darsi ad una casa discograï¬ca spesso è deleterio,
mentre cercare vie alternative per avvicinarsi ai fan risulta appagante, gratiï¬cante ed eco-
nomicamente vantaggioso.
Ma va anche ricordato il lato umano del rapporto artista-acquirente di musica. Non si può
infatti negare che quello della musica non è un mercato come tutti gli altri.
E’ inoltre innegabile (stando sempre alle dichiarazioni degli artisti stessi) che una casa
discograï¬ca vuole solo pensare a rimanere in attivo e a conservare il potere che detiene
[nota 10].
Nel 2005 l’artista jazz Maria Schneider ha vinto un grammy per un album che non ha ven-
duto una sola copia nei negozi. La commercializzazione del disco è avvenuta interamente
tramite Internet, attraverso il portale ArtistShare, e la Schneider si è dichiarata totalmen-
te soddisfatta dell’esperienza: non ha dovuto pagare intermediari e case discograï¬che o
agenzie di distribuzione, è rimasta in forte attivo e si è vista ricevere diverse chiamate da
fatti, di decidere se copiare o scaricare musica da Internet è cosa buona oppure cattiva. Si
tratta di cambiare il nostro modo di pensare e di sforzarsi di vedere le cose sotto un altro
punto di vista.
Uno dei freni più grandi alla libera circolazione della musica è quello posto dalle grandi
discograï¬che, per ovvi motivi economici.
Quello audiovisuale è un mercato che si basa sul controllo totale della produzione: sono le
stesse case discograï¬che che decidono chi avrà successo e chi fallirà , grazie al fatto che,
oltre a possedere il sistema di produzione, hanno anche una grande influenza sui mezzi di
comunicazione (che spesso controllano direttamente).
Gli artisti stessi, spesso, lanciano accuse contro le proprie etichette discograï¬che, ritrovan-
dosi però il giorno successivo a doversene cercare un’altra per pubblicare i propri dischi.
E non parliamo dei primi arrivati, non parliamo di casi isolati di cantanti o gruppi giovani,
indipendenti, affascinati dall’idea di libertà , che vogliono cambiare il mondo, bensì di artisti
affermati e presenti sulla scena musicale mondiale da anni, come Michael Jackson, Fiona
Apple, Alanis Morissette, i Public Enemy, Robbie Williams, David Bowie, Moby, i Beastie
Boys, e molti altri. [vedi nota 6]
Quando Alaska (famosa cantante spagnola) in un’intervista si dimostrò scettica nei con-
fronti dei prezzi dei cd, si vide ritirare il proprio disco dai negozi il giorno successivo. E
quando Fiona Apple, agli MTV Music Awards del 1997, disse esplicitamente che “
l’indu-
stria discograï¬ca è una merda
â€, cinque anni più tardi si sentì dire dalla Epic (Sony BMG)
che non voleva commercializzare il suo album “
Extraordinary Machine
†[vedi nota 6].
Queste persone, proprio perchè hanno avuto a che fare con un certo ambiente per anni, si
sono rese conto che il sistema attuale non funziona, o meglio, funziona davvero bene, ma
solo, appunto, per le case discograï¬che [vedi nota 10].
E’ bene non credere fermamente nelle statistiche, ma quando si leggono certi numeri non
si può fare a meno di fermarsi e pensare che, forse, un fondo di verità deve esserci..
Il 90% della musica che circola nel mondo è controllata da 5 grandi industrie discograï¬che:
BMG, EMI, Sony Music, Universal e Warner [nota 8], le quali sono ormai giunte ad un gra-
do di perï¬dia spaventoso. Cercano di convincere l’utente che se si ostina a non comprare
i dischi nei negozi (all’esorbitante presso imposto) la musica morirà , perchè il mercato
della pirateria musicale soffocherà l’industria del disco. Ma non è certo la prima volta che
la nostra società si trova di fronte ad una nuova tecnologia che rischia di soppiantare la
precedente.
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Quando un artista decide di rinunciare agli intermediari non fa che un favore a sè stesso
e ai propri fans.
Eliminando gli intermediari si eliminano diversi costi, molto alti, e contemporaneamente il
costo ï¬nale di vendita del singolo cd si abbassa notevolmente. La conseguenza più ov-
via è un aumento delle vendite nei negozi. Se risulta naturale pensarci tre volte prima di
comprare un cd da 22 euro, risulta altrettanto ovvio pensarci solo due volte se il prezzo
dell’album è di 12-15 euro.
Inoltre, per quelli che pensano che la maggior parte degli ingressi di un artista derivi dalla
vendita del disco, ricordiamo che sono invece i concerti dal vivo la più grande fonte di en-
trate. Perchè la gente vada ad un concerto, c’è bisogno che la musica circoli. Per far sì che
la musica circoli, deve avere un costo relativamente basso per il pubblico.
Vanno cambiati i sistemi di distribuzione, perchè bisogna giungere ad un sistema meno
costoso e più semplice dell’attuale.
I cosiddetti
mercati di nicchia
non saranno più un terreno in cui è pericoloso avventurarsi,
ma diventeranno un mercato come gli altri; è risaputo che, ovviamente, le case discograï¬-
che non aspirano al mercato di nicchia, ma solo ai grandi successi pop, che tra l’altro sono
esse stesse a creare. Sono strategie di marketing che dovrebbero scomparire, per lasciare
spazio al potere decisionale dei veri gusti del pubblico.
Si arriverà ad un punto in cui la musica non si “possiedeâ€, alla musica si “accedeâ€. Come
tutte le opere dell’ingegno umano, non si può possedere: la cultura non si ha, la cultura si
pratica. Se le leggi e le tecnologia restrittive ci impediscono di praticarla, la cultura morirà .
E’ una battaglia della quale ancora non si vede la ï¬ne.
Dovremo sacriï¬care qualcosa, inevitabilmente, per ottenere una certa libertà (sia come
autori sia come pubblico).
colleghi che volevano fare lo stesso con i loro dischi. [nota 7]
Nel 2001 i Wilco hanno rotto il contratto con la Reprise Records (a causa delle forti re-
strizioni che quest’ultima voleva imporre sulla distribuzione), e hanno deciso di divulgare
l’album gratuitamente in streaming su Internet. Il risultato fu che il loro disco successivo
vendette più di ogni altro loro album precedente. A questo punto, tentarono il mai tentato
prima: fecero il primo webcast in MPEG-4 della storia con Apple. Inoltre diffusero in Inter-
net molta musica registrata dal vivo ai concerti e pubblicarono un nuovo album gratis. Alla
ï¬ne, il nuovo album del 2004 è entrato nella top ten [nota 11].
Gli artisti Stormy Mondays e Overkillers, i portali Lamundial.net, Jamendo.com e Dogma-
zic.net regalano musica in Internet. Phis, Grateful Dead e Linkin’ Park hanno rotto il con-
tratto con Warner perchè la casa discograï¬ca non faceva nulla per promuoverli, mentre il
gruppo italiano Elio e le Storie Tese si è inventato il cd brulè: i concerti vengono registrati
live, e all’uscita i fans possono comprare il cd masterizzato di fresco.
Sono esempi che rendono l’artista più “umano†e amabile dai propri fans, i quali inevitabil-
mente lo premiano.
Secondo NielsenSoundScan, le vendite di musica online si sono triplicate nei primi sei
mesi del 2005, passando dai 55 milioni di canzoni del 2004 a 158 milioni: sono cifre strato-
sferiche. I negozi online di musica, però, spesso sono poco pubblicizzati, poco accessibili,
poco forniti, o forniti male (ad esempio, con formati di compressione eccessivamente po-
veri, o che funzionano solo con software proprietari come Windows o Flash). [nota 12]
Insomma, i sistemi alternativi esistono, ma vanno usati e gestiti meglio.
Jamendo.com è un sito e un intero sistema di diffusione musicale molto ben riuscito. Chiun-
que può scaricare musica e pubblicare, sotto una licenza Creative Commons, la propria
per farsi conoscere. Si sta lavorando a nuove versioni del sito in lingue diverse dall’inglese
grazie alla collaborazione spontanea e gratuita degli utenti stessi.
Gli utenti hanno anche la possibilità di scrivere una recensione del disco ascoltato e di la-
sciare una donazione direttamente all’artista stesso, che nella maggior parte dei casi è di
5 euro o 10, ma c’è anche chi dona molto di più.
Il sistema adottato per scaricare gratuitamente una canzone, o anche un intero album,
lavora insieme a reti di ï¬le sharing (Emule e BitTorrent): basta cliccare sul disco che si
desidera, scegliere il programma che stiamo usando per condividere ï¬le in rete, e automa-
ticamente il ï¬le viene aggiunto alla lista dei nostri download.
Lo stesso utente può essere, allo stesso momento, ascoltatore, creatore e recensore.
Il sito Beatpick.com (http://www.beatpick.com/) vende musica sotto licenza CreativeCom-
mons in formato mp3. Ogni album costa 6 euro, dei quali 3 vanno al sito e 3 all’artista.
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Al mondo esistono diversi progetti che hanno come scopo la promozione della libera diffu-
sione della cultura.
Project Gutenberg (in Italia noto come Progetto Gutenberg) è, dall’agosto 1992, il primo
produttore al mondo di libri elettronici gratuiti (vedi il capitolo
Lessico
alla voce
eBook
).
In realtà la sua storia inizia addirittura nel 1971, quando Michael Hart, allora studente del-
l’Università dell’Illinois, grazie ad alcune amicizie ebbe accesso al sistema centrale della
rete universitaria (guarda caso, lo stesso computer era uno dei 15 nodi della rete che in
seguito divenne Internet). Per sdebitarsi del grande favore, e convinto che un giorno chiun-
que avrebbe potuto avere accesso ad un computer in rete, Hart decise di iniziare una rac-
colta di libri elettronici. In quel momento aveva nello zaino una copia della Dichiarazione
d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America, che divenne il primo eBook della storia.
Il sito del Progetto Gutenberg (www.gutenberg.org) è nato nel 1994.
Oggi è un’associazione senza ï¬ni di lucro che ha vinto numerosi premi e mette a disposi-
zione circa 22000 titoli (di cui 127 in italiano, tra i quali l’Orlando Furioso, la Divina Comme-
dia, la prima Costituzione, le opere di Pirandello, “
Pinocchio
†di Collodi, le poesie di Silvio
Pellico...), per lo più opere cadute nel pubblico dominio, o senza copyright, oltre ad alcuni
libri che gli autori stessi hanno deciso di mettere a disposizione del progetto.
Tra gli autori del progetto americano si possono trovare: Jane Austen, Omero, Mark Twain,
Joyce, Charles Dickens, Leonardo Da Vinci, Lewis Carroll, i fratelli Grimm, Verne, Arthur
Conan Doyle, Shakespeare, George Eliot, Edgar Allan Poe, H. G. Wells, Dostoevski, Bram
Stoker, Jack London, Dante, Kafka, Platone, Kipling, Mallarmè, Melville, Goethe, e molti
altri. Ogni libro della biblioteca Gutenberg può essere stampato e redistribuito.
Project Gutenberg ha diversi “fratelli†in giro per il mondo che si occupano della divulgazio-
ne di eBook gratis a seconda delle leggi nazionali sul copyright (giapponese, australiano,
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culture
3.3
Per gli artisti che vogliono saperne di più sull’argomento, e vogliono avere una guida per
la creazione e distribuzione di musica rilasciata sotto una licenza copyleft, in rete esistono
numerosi portali di informazione e diffusione:
http://www.fmpl.org/ free music public license
http://www.free-music.org/ the free music movement
http://www.ram.org/ramblings/philosophy/fmp.html the free music philosophy
http://www.musicalibre.es/ musicalibre.es
http://www.dpop.es/ portale di musica pop spagnola sotto licenza copyleft
http://blue.jamendo.com/it/ la homepage italiana di Jamendo.com
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[uno snapshot della home page di Dpop.es, portale di musica spagnola pop sotto copyleft]
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tutte le specie viventi con contenuri rilasciati sotto licenza GDFL;
• la ormai quasi defunta e offline Nupedia, che voleva essere una grande enciclopedia ba-
sata sull’aiuto esclusivo di laureati in Fisica, e che ora -in diversi forum di discussione- si
propone di essere un archivio di contenuti altamente selezionati per Wikipedia (all’indirizzo
http://web.archive.org/web/*/www.nupedia.com/main.shtml si trova la versione archiviata
da archive.org).
La fondazione Wikimedia continua a crescere grazie a sovvenzioni statali e donazioni.
Ogni sua creazione è basata sul sistema Wiki, un ipertesto nel quale i fruitori possono
aggiungere liberamente informazioni e modiï¬care quelle già esistenti (il termine “
wiki
†in
lingua hawaiana, signiï¬ca “
molto veloce
â€).
I software wiki vengono largamente utilizzati per la creazione di progetti collaborativi onli-
ne, sono relativamente facili da usare, creano una struttura di navigazione assolutamente
non lineare, in cui ogni pagina è linkata ad un’altra (nel caso di link a una pagina ancora
inesistente, si crea automaticamente un broken link che rimanda alla pagina per la crea-
zione di un nuovo articolo). Ogni articolo è rilasciato sotto licenza GDFL. Tutti possono
accedere alle informazioni e inserirne di nuove.
Forse il più grande progetto collaborativo del mondo è appunto l’enciclopedia Wikipedia,
attualmente nella top ten dei siti più visitati al mondo, con 60 milioni di accessi giornalieri ai
suoi otto milioni di articoli redatti da volontari in circa 250 lingue ufï¬ciali e dialetti. Tra i suoi
principi spiccano la neutralità , la gratuità , l’assenza di pubblicità , la continua promozione di
nuovi progetti a contenuto libero.
Dopo l’attacco alle Torri Gemelle di New York nel 2001, i servizi segreti americani -accusati
di non aver saputo “unire i punti†prima dell’11 settembre- hanno cominciato ad utilizzare
un software wiki per un progetto ovviamente non pubblico (Intellipedia).
Sul portale di Wikia (http://www.wikia.com/wiki/Wikia) si trovano i link a tutti i progetti wiki
del mondo.
Wikipedia è stata addirittura vista da qualcuno come un esperimento di anarchia, o di
democrazia, o di sviluppo darwiniano, ampliamente elogiata e criticata (in entrambi i casi
per lo stesso motivo: la libertà , la natura volontaria del progetto stesso). Ad oggi, è anche
il progetto più simile alla Enciclopedia Galattica immaginata dallo scrittore di fantascienza
Isaac Asimov nel suo “
Ciclo della Fondazione
â€, una immensa raccolta dei saperi millenari
appartenenti alle popolazioni di tutta la Via Lattea allo scopo di preservarli da guerre future
(da sempre distruttrici di biblioteche).
nordico, ebreo...), o che sono una sorta di sito mirror di Gutenberg con altri titoli aggiunti
(come ad esempio il sito di manyBooks: http://manybooks.net/).
In Italia troviamo Libera Cultura, un progetto di Stampa Alternativa (http://www.stampal-
ternativa.it/liberacultura/), il Progetto Manuzio gestito dall’associazione Liber Liber (1300
libri), il portale LettureLibere con link al download di oltre 1500 titoli (http://www.letturelibe-
re.net/).
Un progetto simile a Gutenberg e suo afï¬liato è Mutopia, che riunisce spartiti e parti musi-
cali caduti nel pubblico dominio (http://www.mutopiaproject.org/).
Si avvale dell’aiuto di volontari che trascrivono spartiti non più soggetti a copyright utiiz-
zando GNU LilyPond, un software open source appositamente creato per la scrittura mu-
sicale.
Nel 2003 nasce Wikimedia Inc. (http://wikimediafoundation.org/wiki/Home), un’organizza-
zione no-proï¬t che in breve dà il via ad una serie di progetti fondati sulla libera e gratuita
circolazione dei saperi e il modello open source in generale.
I ï¬gli di Wikimedia sono:
• Wikipedia (http://www.wikipedia.org/): una gigantesca enciclopedia libera in oltre 200
lingue;
• Wiktionary (http://www.wiktionary.org/), il cui ambizioso scopo è di riunire ogni parola del
linguaggio umano in un unico dizionario multilingue;
• Wikiquote (http://www.wikiquote.org), una raccolta di citazioni e approfondimenti su di
esse;
• Wikibooks (http://wikibooks.org/), che riunisce libri a contenuto aperto a scopo soprattutto
didattico come manuali e libri commentati;
• Wikiversity (http://www.wikiversity.org/), l’università per il libero apprendimento: nasce da
alcuni Wikibooks per fornire materiali per l’apprendimento, come lezioni e corsi su diverse
discipline, attualmente attiva in cinque lingue;
• Wikisource (http://wikisource.org/wiki/Main_Page), il portale che si propone di riunire i
testi e i documenti rilasciati sotto licenza GDFL o sotto pubblico dominio;
• Wikinews (http://www.wikinews.org/), complesso portale multilingue per la raccolta di no-
tizie originali inserite da giornalisti volontari in tutto il mondo;
• Wikimedia Commons (http://commons.wikimedia.org/wiki/Main_Page) o WikiCommons,
o semplicemente Commons, è il grande archivio di ï¬le multimediali (audio, video, immagi-
ni..) rilasciati sotto licenza libera (ad oggi quasi due milioni di ï¬le);
• Wikispecies (http://species.wikimedia.org/wiki/Main_Page) progetto di catalogazione di
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I primi ad utilizzare un sistema alternativo al copyright in campo artistico furono i Situazio-
nisti. Il Situazionismo è un movimento artistico e politico che prende forma in Italia, ispi-
randosi a idee anarchiche, rivoluzionarie, nonchè al marxismo e alle avanguardie di inizio
Novecento. Nasce nel ‘57 e resta attivo durante gli anni Sessanta. Ogni opera situazionista
recava una dicitura che invitava a fotocopiare e redistribuire l’opera stessa, in parte o inte-
ramente, purchè senza ï¬ni commerciali.
E’ proprio grazie alle idee dei Situazionisti, di Guy Debord e della Scuola di Francoforte
che negli anni Sessanta si sviluppa un modo di “fare arte†prima inesistente.
Di fronte alla nuova merciï¬cazione dell’arte iniziata con la Pop Art, e alla crescente diffu-
sione di un “pensiero unico artisticoâ€, negli anni Sessanta (all’interno del fermento politico
e sociale in atto a livello mondiale) nascono nuove pratiche che hanno come scopo la
riappropriazione del gesto di libertà nel campo dell’arte.
Uno dei sintomi di questo fermento si trova nella nascita dell’UPS, Underground Press Syn-
dacate, un’associazione che riuniva tutte le riviste underground americane del periodo e
raccoglieva il materiale prodotto per rilasciarlo sotto una non-licenza (no copyright). Grazie
all’UPS, gli artisti dei decenni successivi hanno potuto usufruire di una quantità immensa di
scritti, foto, disegni e collage che poteva essere manipolata e modiï¬cata liberamente.
Gli anni Sessanta sono anche il momento di nascita degli happenings, atti che -a differen-
za delle performance- prevedevano la collaborazione del pubblico per la creazione di un
gesto che veniva visto come opera d’arte e che rimaneva volutamente e rigorosamente
fuori dalle gallerie d’arte.
Negli anni Settanta gli happenings iniziano a diventare telematici e nel corso degli anni
Ottanta e Novanta diventano veri e propri momenti di rottura artistica che si sviluppano in
rete, anche attraverso fanzine online, gruppi di discussione, BBS, chat, nuovi strumenti
che offrono una maggiore possibilità di collaborazione tra collettivi, artisti, attivisti.
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[Uno snapshot della homepage di Wikipedia. L’immagine contiene marchi registrati]
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L’arte diventa rete, non-luogo di scambio, di libera condivisione, sempre esplicitamente o
implicitamente connessa agli ambienti della controinformazione, che si ribellavano all’idea
di una comunicazione di tipo verticale, all’autore unico, al concetto di copyright. Internet,
personal computer, televisioni, reti, radio libere sono strumenti dei quali qualcuno sente il
bisogno di appropriarsi per riaffermare il proprio diritto alla libertà di espressione e di pa-
rola.
Queste pratiche porteranno inï¬ne ai NetStrike e alle proteste sociali attuate attraverso la
rete, nonchè alla nascita di nuovi nomi collettivi, pseudonimi utilizzabili da chiunque per la
creazione e divulgazione di opere artistiche, che stravolgono il concetto alla base del diritto
d’autore classico perchè il loro autore non è individuabile in una sola persona o ente.
Rrose Sélavy è uno pseudonimo usato da Marcel Duchamp e dal poeta surrealista Robert
Desnos, e crea un precedente nella storia dei nomi multipli.
La pratica dei nomi multipli si sviluppa nell’ambiente della sub-cultura a partire dagli anni
Sessanta, ma comincia a diventare popolare a partire dagli anni Settanta, all’interno degli
ambienti della MailArt, del post-situazionismo e del Neoismo, nonchè nella scena di musi-
ca sperimentale degli Anni Ottanta.
La logica dei nomi multipli si basa sul fatto che chiunque può adottarne uno, e diventa
quel personaggio solo all’interno di un contesto sociale, mai nella vita privata, altrimenti si
rischierebbe di individuare un nome multiplo con una persona speciï¬ca.
Facendo uso di un nome multiplo, le responsabilità vengono a mancare, perchè non esiste
un soggetto imputabile in eventuali azioni giuridiche. Esaminando le categorie del FRBR
(Functional Requirements for Bibliographic Records), non se ne trova una in cui si possa-
no inserire i nomi multipli. Il concetto di copyright sulle eventuali opere o azioni prodotte da
un nome collettivo viene stravolto: un autore c’è, ma non è identiï¬cabile con una persona,
nè con mille, nè con un’ente.
Per questo la pratica dei nomi multipli è una delle più grandi e geniali gesta artistiche del
Novecento: riafferma la libertà dell’individuo in un continuo processo di decostruzione e
decentralizzazione dello stesso.
Monty Cantsin è il nome collettivo creato dal mail artista David Zack: viene utilizzato da
moltissime persone sulla scena musicale europea e americana, tanto che ad un certo pun-
to basta presentarsi ad una discograï¬ca dichiarando di essere Monty Cantsin per ottenere
un ingaggio.
Luther Blissett, invece, è sempre stato il più popolare. In Italia ha scritto libri di grandis-
simo successo, ha redatto decine di articoli di controinformazione, ha preso in giro per
mesi quotidiani locali e nazionali, trasmissioni televisive come “Chi l’ha visto?â€, e addirit-
tura l’ANSA, in un continuo depistaggio dei mezzi di comunicazione tradizionali basati sul
modello “uno a molti†(stampa e televisione) atto a dimostrare la loro fallibilità e la effettiva
disinformazione imperante nel mondo dei mass media.
Karen Eliot nasce nel 1985 in risposta ad un movimento ancora capitanato da nomi multipli
maschili. Non è interessata all’estetica ma alla semiotica e all’esplorazione di vecchi stru-
menti (come la radio) per la creazione di arte nuova e il cambiamento sociale.
Oggi sono ancora molte le tracce di Karen Eliot. In Italia ha un sito, un blog, un’associa-
zione culturale e diversi account collettivi su Flickr, Myspace, Splinder per la pubblicazione
di foto, musica e articoli (che chiunque può utilizzare) e la promozione di eventi culturali,
artistici e sociali.
Con i modelli rizomatici di una rete come Internet, si diffondono anche nuovi modi di fare
arte, prima impensabili. L’opera d’arte diventa il risultato di una collaborazione, un atto
collaborativo, sociale.
La cosiddetta
arte delle reti
non fa altro che recuperare gli stessi concetti di movimenti arti-
stici che negli anni ‘50 e ‘60 si contrapponevano alla classica arte oggettuale (come Fluxus
e l’arte concettuale). L’immateriale, il transitorio, il famoso “
flusso
†delle opere in divenire, il
temporaneo, l’ibridazione culturale e disciplinare sono tutti concetti che si sposano benis-
simo con i non-luoghi come Internet, con gli spazi virtuali della rete, dove immensi flussi di
informazioni passano e lasciano un piccolo segno, che va inï¬ne a formare “
l’opera
†nel suo
complesso, la quale probabilmente non conoscerà mai una ï¬ne. Opera che mette in di-
scussione i concetti di diritto d’autore e di copyright perchè l’autore unico non esiste più.
La grande rete della nostra era digitale smette di essere un mero “supporto†o mezzo di
comunicazione, per diventare inï¬ne una delle più grandi opere d’arte collettiva mai viste.
Per questo, durante il festival austriaco di arte digitale Ars Electronica del 2004, il premio
per “
Digital Communities
†è andato a Wikipedia (la più vasta enciclopedia online alla quale
chiunque può partecipare).
Viviamo ormai in una società in cui l’arte non può più fare a meno di confrontarsi ogni gior-
no con il sociale e con il politico; non può più chiudersi nelle gallerie, non vuole più essere
un privilegio per pochi. L’arte collaborativa di oggi chiede l’aiuto delle masse per riportare
a galla un sistema (quello artistico) che molti davano per spacciato nella sua anitca forma,
ma anche per dare un nuovo signiï¬cato sociale all’opera stessa, un senso di
utilitÃ
che
stava rischiando di perdere. L’arte di oggi è
open
, aperta a tutti, non è di nessuno e vuole
dare beneï¬cio ad ognuno di noi.
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Il capitolo che segue non era previsto nella bozza iniziale di questa tesi.
Ma leggendo pagine e pagine di libri e di siti inerenti la mia tesi, di link in link, da un riferi-
mento a una citazione, mi sono resa conto che il mondo delle biotecnologie, del biocopyri-
ght, dei monopoli alimentari e farmaceutici non solo è collegato all’argomento delle nuove
licenze e delle nuove teconologie, ma è talmente vicino alla nostra vita privata e quotidiana
che ignorarlo avrebbe signiï¬cato eliminare una parte davvero importante da tutto questo
discorso.
Nell’era digitale è diventato possibile registrare codici genetici di piante, animali e esseri
umani: se qualcuno riesce a mappare l’intero DNA di un essere vivente, ha anche la possi-
bilità di brevettarlo. Il governo americano ha registrato il codice genetico di un essere uma-
no (un uomo Hagai della Papa Nuova Guinea); poi per fortuna l’ha rilasciato sotto pubblico
dominio, ma si tratta di un precedente pericoloso.
Potenti multinazionali hanno già acquistato da popolazioni relativamente povere i codici
di diverse sostanze, spacciate poi per invenzioni, quando si tratta in realtà di conoscen-
ze tramandate da millenni di padre in ï¬glio (come l’apelawa, un tipo di grano andino, o
l’ayahuasca, una sostanza utilizzata per le cerimenie religiose in Amazzonia). Al momento,
i brevetti di tali sostanze sono validi solo in America, negli stati in cui sono state registrate,
e non nei paesi d’origine; ma c’è il rischio che in futuro il copyright possa diventare valido
anche all’infuori dei conï¬ni nazionali, con l’inaccettabile risultato che le popolazioni che
ancora oggi sono libere di utilizzarle siano obbligate a pagarne i diritti d’autore.
Nel novembre 2007 la Deutsche Telekom ha registrato e comprato il colore magenta, men-
tre la Red Bull lo ha fatto con il blue silver.
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mentre altre sono già andate irrimediabilmente perdute..
Nel 1975 è nata un’associazione mondiale di coltivatori che vogliono preservare semi che
al mercato non interessano e animali da cortile che rischiano l’estinzione: si chiama “Seed
Savers†(http://www.seedsavers.org/) e ha il suo quartier generale in una fattoria dell’Iowa.
In Italia, a Cesena, ha sede “Civiltà Contadina†(http://www.civiltacontadina.it/), che si de-
dica a salvare specialità locali e regionali di frutta, verdura e animali da cortile.
Detto così, può sembrare il passatempo di alcuni vecchi contadini, o di nostalgici, o peggio
ancora di allarmisti. Ma poi si scopre che delle 25 varietà di cocomero italiane ne resta solo
una, che abbiamo 50 tipi di fagioli (mentre nei supermercati sembrano esistere esclusiva-
mente borlotti e cannellini), che avevamo circa mille varietà di mele sostituite dalle 4/5 prin-
cipali varietà commerciali, che sono scomparse 33 varietà di broccoli, che restano solo un
centinaio delle 400 varietà di frumento, che ben 5 razze bovine si sono estinte negli ultimi
40 anni... e molto altro, in una lista lunghissima di patrimonio che abbiamo perso (il WWF
ha calcolato che il 15% del nostro patrimonio naturale è andato perduto per sempre).
Qualcosa in Italia oggi si muove, ma per ora solo a livello regionale (ad esempio, nel 2007
in Emilia Romagna è stata approvato un disegno di legge che tuteli la biodiversità della
varietà vegetali e animali romagnole).
Sono invece immensi gli sforzi che saranno necessari per “salvare il salvabile†a livello
planetario.
A mille chilometri dal Polo Nord, nell’isola più grande dell’arcipelago delle Svalbard, nel
2006 sono iniziati gli scavi per costruire la più grande banca dati genetica del mondo: qui
verranno sepolti e conservati nel permafrost tutti i semi delle piante conosciute, per preser-
varli da una guerra nucleare, un disastro naturale o chissà che altro (le ultime banche di
germoplasma sono state distrutte in Iraq e Afghanistan dalle cosiddette “bombe intelligen-
tiâ€). Potremo avere accesso a queste risorse solo nel caso in cui tutte le altre non sarranno
più utilizzabili. Il genere umano ha paura di sè stesso e cerca disperatamente di correre ai
ripari.
Il nostro patrimonio naturale sta venendo saccheggiato, in silenzio, senza che quasi nes-
suno si ribelli, perchè la stampa non ne parla, e le notizie sull’argomento sono poche.
Ma è davvero possibile che una multinazionale sia la padrona di un tipo di grano, o di un
ï¬ ore, o di un colore??
Pensavamo che gli animali, la terra, l’aria, l’acqua, fossero di tutti e di nessuno.
Invece abbiamo iniziato a comprali, venderli o addirittura afï¬ ttarli.
Rubiamo dai serbatoi ancora ricchi di biodiversità delle popolazioni impoverite dalle stesse
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Il biocopyright viene oggi utilizzato indiscrimina-
tamente da multinazionali alimentari, chimiche
e farmaceutiche.
Ad esempio, i semi della Monsanto che ven-
gono acquistati dai contadini possono essere
piantati solo per una stagione, e non è possi-
bile regalarli o tenerli da parte per la semina
successiva, come da sempre i contadini sono
stati naturalmente abituati a fare. Se un conta-
dino si azzarda a trasgredire queste regole, la
Monsanto sguinzaglia una speciale squadra per
trascinarlo in tribunale (la cosiddetta “Polizia dei
Semiâ€, composta da una settantina di agenti,
autorizzati a sistemi repressivi e intimidatori nei
confronti dei “biopiratiâ€). Multe salate sono state
ricevute anche da chi si è ritrovato, suo malgra-
do, il campo infestato da semi della Monsanto
semplicemente trasportati dal vento.
Per fermare queste persecuzioni e difendere i
contadini, in America esiste il Center for Food
Safety
(http://www.centerforfoodsafety.org/),
un’associazione no-proï¬ t che si impegna anche
a diffondere sistemi di produzione sostenibili,
ad informare i cittadini sulla distribuzione di ali-
menti geneticamente modiï¬ cati o inquinati con
ormoni, e a promuovere campagne e petizioni
(una delle quali chiede al governo americano di
creare una legge che escluda le piante dal ma-
teriale brevettabile).
Si è arrivati ad un punto eticamente non più
tollerabile, in cui queste aziende dichiarano di
agire per il nostro bene e la nostra salute, quando in realtà il loro obiettivo è solo ed
esclusivamente il lucro.
Stiamo perdendo quella biodiversità che da sempre è stata una forma di difesa natura-
le contro l’estinzione delle specie animali e vegetali. Il mercato globale non è interes-
sato alla varietà , e per questo motivo moltissime specie vegetali stanno scomparendo,
[La struttura del DNA.
Di Michael Ströck.
Immagine rilasciata sotto licenza GDFL]
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nazioni che in passato le hanno perseguite, hanno rubato loro la terra e le hanno relegate
in “oasi felici†come animali in estinzione.
Anche se l’argomento delle biotecnologie e dei biobrevetti sembra di attualità (nel senso
che verrebbe da dire che è una questione nuova, che l’uomo si è posto solo in questo se-
colo), in realtà si tratta di un problema che affonda le proprie radici nella storia stessa del-
l’umanità , nelle guerre, negli stermini di massa e nell’odio che troppo spesso è regolatore
dei rapporti tra i popoli, ago della bilancia tra ricchezza e povertà , potenza e debolezza.
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Ho iniziato a scrivere questa tesi solo perchè l’argomento delle nuove licenze mi interes-
sava e volevo approfondirlo. Ora che sono arrivata alla ï¬ne mi sento in missione come i
Blues Brothers, ma non per conto di Dio...
Continuo il mio lavoro iniziato qualche anno fa con l’intento di sforzarmi allo scopo di crea-
re solo cose utili con le conoscenze che possiedo.
Mi sono resa conto che l’argomento delle nuove licenze non è molto sentito, in Italia.
Farò circolare il più possibile questa tesi e vorrei che ogni lettore facesse lo stesso, perchè
al di là di certi interrogativi sulla legittimità o meno di alcune pratiche, al di là delle diatribe
concernenti alcuni dettagli, non dobbiamo dimenticare che sopra a tutto c’è in gioco la no-
stra libertà e la diffusione della cultura nel mondo.
Il tema del copyright è molto più vicino a noi di quanto immaginiamo.
Forse pensiamo che, come tante altre leggi, anche quella sul copyright è affare dello Stato,
di un parlamento, di politici. Ma non è giusto lasciare che qualcuno decida per la nostra
libertà . Se pensiamo che le leggi attuali non siano “giusteâ€, allora dobbiamo alzarci in piedi
per far valere i nostri diritti. Far sentire la nostra voce è importante. In Italia esistono giÃ
molti movimenti e associazioni che si occupano di raccogliere ï¬rme per petizioni, ma io
credo che il problema principale è che solo chi è già interessato a certi temi visita i siti di
queste associazioni. Per questo ogni giorno cerco di fare qualcosa in merito: mi metto a
parlare con tutti, con zie, nonne, cugine, vicine di casa e sconosciuti sul treno. Li informo
che quello del copyleft è un tema importante perchè la sua evoluzione deciderà le sorti
della nostra società nell’immediato futuro e del nostro modo di vivere. Avviso i miei amici
musicisti della possibilità di distribuire la propria musica online sotto licenza copyleft traen-
done proï¬tto. Chiedo agli amici scrittori di riflettere seriamente sulla possibilità di applicare
una Creative Commons ai propri lavori. Invito gli amici che stanno studiando, ad esempio,
letteratura inglese del Settecento, a servirsi delle biblioteche online piene di opere sotto
conclusioni..?
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[Foto di Beth Kanter rilasciata sotto licenza Creative Commons Attribution 2.0]
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pubblico dominio, invece che comprarle. Anche a costo di essere terribilmente noiosa e
insopportabilmente monotematica, ogni giorno nel mio piccolo cerco di fare qualcosa.
Se lo facessimo tutti quanti, probabilmente le cose cambierebbero.
E’ vero che esistono associazioni attive a livello planetario che si occupano di creare nuo-
ve licenze, studiarle, divulgarle. Ma credo che difï¬cilmente l’addetto alla sala stampa di
Creative Commons si metterà direttamente in contatto con il ï¬glio dell’amico di vostra ma-
dre che suona la batteria in un gruppo e cerca un modo per farsi conoscere dal pubblico..
Per questo alcuni di noi devono appunto farsi carico di questa “missione†e... “divulgare il
verboâ€, come mi piace dire ultimamente.
Sono una di quelle persone che pensano che il mondo possa cambiare, ma non possiamo
aspettarci che cambi da solo.
Ultimamente (novembre 2007), in Italia, la SIAE ha accettato di esaminare le licenze Crea-
tive Commons e la loro validità , e ha (addirittura) permesso ad un locale appena aperto
a Roma di divulgare materiale sotto licenza copyleft (quindi, senza che la SIAE riceva un
compenso). Quella che dovrebbe essere la normalità sta cominciando, forse, a diventare
realtà , nel senso che ï¬nalmente, dopo ben 5 anni dalla nascita delle Creative Commons,
un organo come la nostra SIAE ha deciso di prenderle in considerazione.
I siti che distribuiscono musica sotto licenza copyleft aumentano il volume del materiale
scaricabile ogni giorno. In sempre più blog, ormai, si può notare il banner di Creative Com-
mons che avvisa gli utenti che il materiale pubblicato è sotto regime copyleft (e ricordiamo
che, nella maggior parte dei casi, i blog sono spazi individuali, gestiti da persone assoluta-
mente “comuni†e non associazioni, attivisti o avvocati). Diversi portali per la pubblicazione
di materiale audiovisuale (come Flickr e Photobucket) danno la possibilità di scegliere tra
le diverse licenze Creative Commons la più adatta ai nostri gusti e scopi da applicare alle
nostre fotograï¬e o ai nostri video. Il volume di musica online (legale!) si moltiplica a vista
d’occhio (7000 album gratis solo su Jamendo.com).
La sensazione è che, piano piano, all’interno della rete, le nuove licenze si stiano facendo
strada, un po’ con il passaparola, un po’ attraverso la navigazione casuale in rete. Di certo,
non grazie ai media tradizionali. Infatti, le notizie su tale argomento proliferano in rete ad
una velocità impressionante e reperire informazioni è molto facile, grazie anche ai siti di
associazioni no proï¬t che se ne occupano, mentre giornali e televisione non ne parlano
mai, o comunque non prevedono un piccolo spazio in cui si possa periodicamente parlare
di copyright e nuove tecnologie, ad esempio.
Per la stessa ragione, in Italia il copyleft è ancora “in alto mare†per quanto riguarda il mon-
do dell’editoria scritta e delle pubblicazioni cartacee. Da qualcosa bisogna pur partire.
Per quanto riguarda invece l’attuale legislazione italiana, il Comitato Consultivo permanen-
te (previsto dalla legge 633/1941 sul diritto d’autore) nel 2005 propose un disegno di legge
per un rinforzo dei poteri della SIAE.
Ma nel 2007 il nuovo presidente Gambino ha avuto il buon senso di rendersi disposto al-
l’ascolto non solo dei tradizionali soggetti coinvolti nella normativa (come autori e editori),
ma anche degli utenti del web (attraverso un progetto wiki all’indirizzo http://commissio-
nedirittoautore.info/wiki/), delle associazioni dei consumatori, del mondo dell’open content
(come l’associazine Frontiere Digitali), delle biblioteche, delle Creative Commons... Il ri-
sultato di questo scambio durato 5 mesi è un documento di oltre 300 pagine contentente
proposte per una riforma, presentato a Roma nel dicembre 2007. Proposte che, probabil-
mente, giaceranno per un po’ di tempo tra i documenti da smaltire in attesa di un ennesimo
nuovo governo (il quale, immagino, avrà ben altre priorità prima della riforma della norma-
tiva sul diritto d’autore...).
Il testo completo è scaricabile all’inidirizzo:
http://www.interlex.it/testi/pdf/lda_proposte.pdf
Il testo di sintesi è disponibile invece all’indirizzo:
http://www.dicorinto.it/wp-content/uploads/2008/01/utilizzazioni_libere.pdf
Nel frattempo (gennaio 2008) una legge ha trasformato la SIAE in un ente pubblico eco-
nomico, mentre per il decreto Urbani (il cui vero nome è legge 128 del 21 maggio 2004),
possiamo ancora ricevere multe salatissime se condividiamo ï¬le sulle reti di ï¬le sharing
(da 12mila a 125mila euro...). D’altro canto, una “svista†potrebbe rendere legale la divul-
gazione di mp3 in Internet: sarebbe possibile semplicemente interpretando alla lettera una
modiï¬ca di legge del dicembre 2007 che permette la pubblicazione in rete di materiale
coperto da diritto d’autore (purchè a bassa qualità e non a scopo di lucro bensì esclusiva-
mente didattico). Da questo piccolo errore giuridico è già nata la DegradArte (http://www.
degradarte.org/), raccolta di opere d’arte che si conformano alla citata legge.
Insomma: se si cerca di capire qualcosa del panorama giuridico italiano in tema di copyri-
ght e nuove tecnologie, ci si ritrova con un gran mal di testa e con la sensazione di non
aver ben chiaro qualcosa... nonchè con la certezza che chi “fa†le leggi, spesso, non ha la
minima idea di ciò di cui sta parlando, usa termini a sproposito e -per così dire- “mischia
tutto†(
pirateria
e
condivisione dei saperi
, ad esempio).
Bisognerà aspettare ancora un po’ per capire in che direzione andremo, soprattutto a cau-
sa del nuovo cambiamento di governo.
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GDFL
Acronimo di GNU Free Documentation License. E’ una licenza di tipo copyleft creata dalla
Free Software Foundation per la manualistica sul software libero. Viene utilizzata per testi
e documentazione. Le copie derivate vanno redistribuite sotto la stessa licenza.
Commons Deeds
Testi sempliï¬cati e scritti in un linguaggio comprensibile a tutti delle licenze di tipo copyleft.
Contengono un link al testo originale della licenza vera e propria, al quale si fa riferimento
in campo giuridico.
Copyright
Letteralmente signiï¬cherebbe “
diritto alla copia
â€. Viene ceduto per denaro dall’autore a
soggetti imprenditoriali che si occupano di riprodurre e distribuire l’opera sul mercato.
Nasce con l’intento di proteggere le opere dell’ingegno e come incentivo, per gli autori, a
produrre per poter vivere delle proprie creazioni.
Il copyright, al momento e in linea generale, ha un limite di 70 anni dalla morte dell’auto-
re.
Dalla diffusione di massa di Internet e delle nuove tecnologie (il ï¬le sharing, la fotograï¬a
digitale, la possibilità per tutti di pubblicare materiale online, eccetera) le discussioni sul
tema del copyright hanno preso nuove direzioni e hanno portato alla creazione del copy-
left.
Diritto d’autore
Sposta la sfera d’interesse sull’autore dell’opera, aggiungendo ai diritti patrimoniali quelli di
tipo morale, ovvero il valore aggiunto all’opera apportato dalla persona stessa dell’autore,
lessico
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fonti
http://www.dirittodautore.it/page.asp?mode=News&IDNews=4299
http://it.wikipedia.org/wiki/Decreto_Urbani
http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/scienza_e_tecnologia/diritti-web/legge-mp3/leg-
ge-mp3.html
http://www.ilsecolodellarete.it/html/modules.php?op=modload&name=News&ï¬le=article&
sid=408&mode=thread&order=0&thold=0
[Sesto Seminario di Creative Commons Japan, 2007. Immagine sotto licenza Creative Commons 2.0]
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70
Peer-to-peer (P2P)
Le reti peer-to-peer sono generalmente sistemi in cui non esistono client e server ï¬ssi,
ma ogni nodo (peer) è contemporaneamente client e server. Questo signiï¬ca che in una
rete di computer, ogni macchina ha la possibilità di portare a termine una transazione di
dati. Le reti P2P vengono utilizzate per il ï¬le sharing (ovvero la condivisione di ï¬le in rete)
e sfruttate al meglio da programmi come BitTorrent, Gnutella, FastTrack, Emule, il defunto
Napster, o sistemi di gruppi di lavoro o di chat come IRC.
Porting
Il porting è il progetto interno a Creative Commons che comprende la traduzione delle li-
cenze e l’adattamento delle licenze stesse agli ordinamenti giuridici dei vari Paesi.
Questo lavoro (sviluppato anche attraverso l’aiuto di mailing list di discussione internazio-
nali) è sempre controllato dall’ente centrale statunitense, ma delegato alle Afï¬liate Institu-
tions locali, in maniera che il risultato ï¬nale non sia solo una traduzione della licenza dal-
l’inglese, ma una nuova licenza indipendente che deve sottostare alle leggi sul copyright
nazionale, oltre che a quelle interenazionali.
SIAE
Il fenomeno SIAE (
Società Italiana Autori ed Editori
) è quasi unicamente italiano (in Spa-
gna esiste l’equivalente SGAE).
E’ un’associazione di tipo pubblico che però opera con delega statale e praticamente lavo-
ra per il governo, e per di più a livello monopolistico, perchè così è sancito dall’articolo 180
della legge italiana sul diritto d’autore, che al primo comma recita: “
L’attività di intermedia-
rio, comunque attuata, sotto ogni forma diretta o indiretta di intervento, mediazione, man-
dato, rappresentanza ed anche di cessione per l’esercizio dei diritti di rappresentazione,
di esecuzione, di recitazione, di radiodiffusione ivi compresa la comunicazione al pubblico
via satellite e di riproduzione meccanica e cinematograï¬ca di opere tutelate, é riservata in
via esclusiva alla Società italiana degli autori ed editori (SIAE)
â€.
Un autore italiano non ha l’obbligo di registrarsi alla SIAE, ma è anche vero, purtroppo, che
la SIAE sarebbe l’unico ente in grado di tutelare le sue opere. D’altro canto, dato il carat-
tere di tipo esclusivo del contratto stipulato con la SIAE, rilasciare l’opera (o anche quelle
future) sotto una licenza copyleft sarebbe giuridicamente impossibile, perchè vorrebbe dire
afï¬dare la diffusione della propria opera attraverso altri canali.
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dalla sua vita privata, dal suo modo di pensare, dalla sua reputazione. I diritti morali sono
incedibili, irrinunciabili e perpetui, ovvero non cessano nè con la morte dell’autore nè con
l’estinguersi dei diritti patrimoniali (70 anni dopo la morte dell’autore).
Disclaimer
il disclaimer è quel breve testo che riassume e descrive in poche e semplici parole il tipo
di licenza adottata per l’opera in questione, ma NON è la licenza vera e propria.
Insieme al disclaimer va inserito il link alla deed, ovvero il testo sempliï¬cato della licenza
copyleft in questione, scritto in linguaggio comprensibile per chi non si intende di leggi.
Il disclaimer serve ad informare l’utente sulla licenza utilizzata (in maniera che egli si com-
porti di conseguenza), ma ha anche una funzione giuridica perchè, in caso di diatriba lega-
le, si parte proprio da questo.
Dove possibile, invece del link alla deed sarebbe meglio inserire il testo completo della
deed stessa. Inoltre, nelle opere su supporti materiali, va inserito l’URI (un link statico) del
testo integrale della licenza.
Normalmente si trova all’inizio la data e il nome del detentore del copyright, e poi la vera
e propria nota di copyleft che è stata scelta. Quando si inserisce un disclaimer, è oppor-
tuno essere il più chiari possibile, e non solo per motivi connessi ai problemi legali che
potrebbero derivare da una eventuale incomprensione nella lettura. E’ anche importante
mantenere una certa funzione divulgativa delle tematiche del copyleft, ancora non sufï¬-
cientemente conosciute.
eBook
Un eBook (abbreviazione di “electronic bookâ€, “libro elettronicoâ€), è un formato molto com-
plesso per gestire i testi digitali. Ovviamente non si tratta di un qualunque testo digitale,
bensì di un particolare formato ricco di informazioni che per funzionare ha bisogno di un
apposito software e di un hardware che lo legga.
Come un libro cartaceo, offre la possibilità di porre segnalibri o girare le pagine, ma appro-
ï¬tta della sua natura digitale per incorporare elementi multimediali e comportarsi come un
ipertesto.
Un eBook può essere letto da qualsiasi computer, anche se in realtà l’hardware adatto allo
scopo sarebbe un altro. Un perfetto “ebook reading device†(ovvero un dispositivo per la
lettura di eBook) dovrebbe essere piccolo, leggero, energeticamente autonomo, e posse-
dere uno schermo che non affatichi la vista.
73
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76
Questa tesi è stata scritta e studiata attraverso Mozilla Firefox, OpenOfï¬ce.org 1.1.4, Fo-
xit Reader, Scribus, l’intero universo Wiki, eMule, le biblioteche libere online, le linee wi-ï¬
libere dei miei vicini di casa (in Italia e in Spagna).
Ringraziamenti personali a chi mi ha fornito interessanti spunti per la ricerca sul materiale
da inserire nella tesi e mi ha aiutato (direttamente oppure no) nella sua realizzazione: En-
rico Bisenzi, Jorge Cortell, Giuseppe De Lorenzo, Arturo Di Corinto, Peter Jones, Felicia
Raffaele, Marina de Rojas Leal, Tommaso Tozzi, Paul Wineguy.
Ringrazio inoltre: i Blues Brothers, Donnie Darko, Richard Stallman. E naturalmente la mia
famiglia che mi ha aiutato in questi mesi.
special
thanks
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siti di organizzazioni a favore del rinforzo del copyright:
http://www.wipo.int/portal/index.html.en WIPO World Intellectual Property Organization
http://www.riaa.org/ RIAA Recording Industry Association of America
http://www.mpaa.org/ MPA Motion Picture Association of America
http://w3.bsa.org/italia/ BSA Business Software Alliance
http://www.sgae.es SGAE Sociedad General de Autores y Editores
http://www.siae.it/ SIAE Società Italiana Autori ed Editori
http://www.mcu.es/ Ministero della Cultura spagnolo
http://www.aedpi.com/ Asociacion Española de Derecho de la Propiedad Intelectual
http://disney.go.com/index Disney Company
http://www.unesco.org/culture/copy Leggi nazionali sul copyright (stati UNESCO)
www.microsoft.com Microsoft Corporation
..e siti che si oppongono all’attuale stato delle cose:
http://www.frontieredigitali.net Frontiere Digitali
http://www.costozero.org Movimento Costozero
http://cyber.law.harvard.edu/openlaw/ Berkman’s Center Openlaw Forum
http://creativecommons.org/ Creative Commons
http://www.eff.org Electronic Frontier Foundation
http://www.fsf.org Free Software Foundation
http://www.gnutella.com Gnutella
http://www.opensource.org Open Source Initiative
http://www.produzionidalbasso.com/ Piattaforma internet per le autoproduzioni
http://www.gutenberg.net Project Gutenberg
http://www.public-domain.org/ Unione per il Pubblico Dominio
http://www.zeropaid.com/ ZeroPaid
http://www.wikiartpedia.org WikiARTpedia
http://www.hackerart.org Hacker ART
...inoltre, innumerevoli altri link in questa pagina:
http://www.hackerart.org/link.htm
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Quest’opera viene rilasciata sotto la licenza
Creative Commons
Attribution-No Commercial 3.0 Unported
Tu sei libero:
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Questo è un riassunto in linguaggio accessibile a tutti del Codice Legale (la licenza
integrale) disponibile all’inidirizzo internet:
http://creativecommons.org/licenses/by-nc/3.0/legalcode
Per contattare l’autrice scrivere una email all’indirizzo acid.nally@gmail.com
Annalisa Schiavone, gennaio 2008.