Comunicato stampa del 24/10/2008
Dopo l’incontro con Sarkozy il caso
Petrella resta aperto
Comunicati precedenti
-> leggi il testo del
comunicato "IL CASO PETRELLA.
L'estradizione negata" del 13/10/2008
(version française)
-> leggi il testo di
precisazione dei rapporti con Bruno Berardi e l'Associazione Domus
Civitas
-> leggi l'articolo su La stampa
del 14/10/2008 "Com'è umano Sarkò con la ex Br"
-> Affaire Petrella ,
le dossier en française
L'associazione italiana Vittime del Terrorismo ringrazia per i
numerosi messaggi di solidarietà pervenuti sul caso Petrella da:
|
|
Iniziative attuali
Parigi, 22 ottobre 2008
TESTO DELL’INTERVENTO DEL PRESIDENTE AIVITER, DANTE
NOTARISTEFANO, IN OCCASIONE DELL’INCONTRO CON IL PRESIDENTE DELLA
REPUBBLICA FRANCESE NICOLAS SARKOZY
Signor Presidente,
La ringraziamo per avere voluto ascoltare la voce delle vittime del
terrorismo italiano e dei loro famigliari. È la prima volta che ciò
avviene e di questo le diamo merito.
La nostra associazione ha dovuto registrare con dolore per quasi trenta
anni l’atteggiamento della Francia verso il problema del terrorismo
italiano degli Anni Settanta e Ottanta.
A noi, ed alla grande maggioranza dell’opinione pubblica italiana, è
sembrato che una distorta visione culturale abbia accreditato assassini
e attentatori come idealisti e vittime di un regime giudiziario e
politico mai esistito in Italia dopo il 1945.
Nel nostro paese si sono incrociate per qualche tempo diverse trame
eversive, da un lato di destra neofascista e di impronta reazionaria,
con connivenze anche in seno ad apparati dello Stato, dall'altro lato di
sinistra estremista e rivoluzionaria. Non c'è dubbio che dominanti siano
ben presto diventate queste ultime, col dilagare del terrorismo delle
Brigate Rosse e di altre sigle di matrice neo marxista e comunista.
Un dato ha accomunato fenomeni pur diversi ed opposti: il dato della
intolleranza e della violenza politica, dell'esercizio arbitrario della
forza, del ricorso all'azione criminale per colpire l’avversario
politico, visto come nemico, e cittadini indifesi presi a simbolo per
sfidare lo Stato democratico.
A queste pericolose trame eversive si è opposta la pratica della
convivenza pacifica, della tolleranza politica e culturale, delle regole
democratiche, dei princìpi, dei diritti e dei doveri sanciti dalla
nostra Costituzione repubblicana. È stata, questa, la cultura delle
vittime: studiosi, magistrati, avvocati, giornalisti, amministratori
locali, dirigenti d'azienda, commercianti, rappresentanti dei
lavoratori, militari, uomini delle forze dell'ordine, politici e altri
ancora, sino al caduto più alto e significativo: il presidente della
Democrazia Cristiana, sequestrato, tenuto prigioniero per quasi due mesi
e infine ucciso con decisione spietata.
Lo Stato italiano, il suo sistema penale e penitenziario, si è mostrato
in tutti i casi assai generoso con i terroristi : ma dei benefici
ottenuti gli ex terroristi si sono spesso avvalsi per cercare tribune da
cui esibirsi, dare le loro versioni dei fatti, tentare ancora subdole
giustificazioni. C’è chi ha detto di provare "rammarico per i famigliari
delle vittime delle BR", ma aggiungendo di aver dato per scontato che
"quando si fanno azioni di un certo tipo" accade di "dare dei dispiaceri
ad altri".
Nessuno ha mai garantito i colpevoli di terrorismo come l’Italia, sia
durante la detenzione, con inusitate riduzione di pene, che dopo, spesso
favorendone l’inserimento sociale in istituzioni pubbliche.
Rileviamo che ben più giustamente dura è stata la Francia con i suoi
pochi terroristi.
Eppure diversi esponenti della cultura francese ritengono di dover
tutelare i cosiddetti ex terroristi italiani quasi come fossero
irredentisti. Ad essi è stata di fatto concessa negli ‘anni di piombo’
la libertà di uccidere e ferire e, oggi, è loro riservato il destino
d’essere assurti a simbolo degli intellettuali perseguitati. Eppure,
come dimostrano le loro stesse testimonianze, essi – una minoranza
estrema, quanto esigua – non delinquirono per combattere le ingiustizie
sociali, ma per tentare di sovvertire lo stato democratico.
In Italia, i tribunali hanno giudicato gli atti di terrorismo senza
ricorrere a ‘leggi speciali’ liberticide e, almeno per i fatti di sangue
e per gli omicidi, le sentenze definitive – almeno tre gradi di giudizio
– non possono non essere riconosciute nell’Unione Europea. Se non lo
fossero, quali prospettive potrebbe mai avere una giustizia europea?
Come ci ha scritto Françoise Rudetzki, fondatrice di S.O.S. Attentas,
tra i molti messaggi di solidarietà ricevuti dalla nostra associazione
la scorsa settimana, “Le frontiere non devono ormai più proteggere i
terroristi. Al fine di evitare ogni sorta di ricatto, l’Unione Europea,
che è fatta di democrazie rispettose dei diritti dell’uomo, deve
urgentemente abolire le frontiere giudiziarie come quelle economiche e
della libera circolazione delle persone.”
L’atteggiamento della gauche, che in Italia trova conforto solo in
alcuni settori della sinistra estrema, noi lo consideriamo offensivo,
oltre che politicamente improvvido. E dimostra quanto molto ancora ci
sia da fare per rendere “uguali” gli europei in ogni parte del
territorio dell’Unione.
Come è stato recentemente sottolineato dal Simposio della Nazioni Unite,
che il Segretario generale Ban Ki-moon ha dedicato alle vittime del
terrorismo, garanzie e diritti devono essere previsti anche per le
vittime. Nel caso italiano, le vittime altro non erano se non cittadini
spesso inermi, sempre incolpevoli, resi invalidi e uccisi da giovani
privilegiati, talvolta per nascita e sempre per la formazione culturale
ricevuta.
Per noi, che i terroristi abbiano storpiato e assassinato per motivi
ideologici, come pretendono, non è un’attenuante; semmai è
un’aggravante. Sempre loro e i loro sòdali troveranno mille e una parola
per ingannare, mistificare il passato, continuare ad offendere la
memoria dei morti. Come puntualmente avviene nel mondo anche per recenti
orrori, sempre qualche “buona ragione” giustifica le ‘buone cause’.
I latitanti, soprattutto gli assassini, a fronte di reati universalmente
riconosciuti e di condanne definitive, non possono invocare privilegi di
tutela.
Durante la presidenza Mitterrand, il guardasigilli Robert Badinter – che
ebbe l’onore di chiedere alla Francia l’abolizione della pena di morte –
dichiarò che lo Stato francese deve mantenere la parola data anche a
proposito dei terroristi, questo ci preoccupa come cittadini europei e
come vittime. Nell’Europa attuale nessun pseudo garantismo può
giustificare degli assassini.
Né si possono trovare giustificazioni nel fatto che sono passati 20 anni
e che, non avendo estradato i colpevoli allora, ora questi hanno
maturato il diritto di vedere prescritti i propri delitti. L’assassinio
non si prescrive e i killer latitanti spesso dimostrano di non
considerare sbagliata la loro antica condotta, anche se dichiarano il
contrario.
Gelosamente hanno custodito e nutrito negli anni la presunzione di chi
ha agito per il meglio, insieme alla certezza di essere nobili
avventurieri che l’hanno fatta franca.
Ho detto all’inizio del nostro dolore per le conseguenze della dottrina
Mitterrand e dell’atteggiamento degli intellettuali francesi della
gauche. Il fatto è, signor Presidente, che molti di noi si sono formati
sulla tradizione culturale francese: abbiamo amato e amiamo come nostra
la vostra grande memoria storica, la laicità, le suggestioni della
vostra civiltà, così che il vostro atteggiamento in favore di
delinquenti e assassini ci pare come una sconfitta personale e lo
viviamo come il tradimento dello spirito stesso delle vostre tradizioni
liberali, poiché una pretesa “giustizia sociale” contrapposta alla
legalità è sempre stata alla base dei totalitarismi.
Signor Presidente, nel suo discorso di investitura dell’anno scorso, fu
Lei a porre la domanda: «Perché la sinistra non sente più la voce di
Albert Camus?». Ebbene, oggi noi auspichiamo che l’insegnamento del
premio Nobel entri a far parte del patrimonio della cultura politica di
tutta l’Europa, avendo le parti politiche ben presente che ogni
ribellione non può prescindere dal senso della misura, perché è la
dismisura a giustificare il terrore: «Il bene assoluto e il male
assoluto, se vi si mette quanto occorre di logica, esigono lo stesso
furore».
Le chiediamo, signor Presidente, il rispetto della nostra giustizia che,
anche nel caso Petrella, ha dalla sua la forza del diritto naturale al
rispetto della vita umana, che non può essere confuso con nessuna
ragione di Stato. D’altra parte anche l’ordinamento carcerario italiano
è in grado di garantire ai detenuti le cure necessarie.
La delegazione dell’associazione italiana vittime del terrorismo
(AIVITER) ricevuta all'Eliseo e composta da: Dante Notaristefano, Sabina Rossa, Massimo Coco, Alberto Torregiani,
Luca Guglielminetti
|